L’ex ct del Giappone, Zaccheroni, racconta alla Gazzetta dello Sport degli aneddoti della sua carriera in Giappone.
“La prima parola che mi viene in mente dopo aver visto il Giappone in questo Mondiale è orgoglio. Sì, sono orgoglioso di averli allenati, questi ragazzi. E per allenati intendo proprio loro, quelli che hanno appena concluso l’avventura in Russia: a parte pochissimi elementi, li ho avuti tutti. Orgoglioso perché sono unici e la foto, che sta circolando sul web, del loro spogliatoio immacolato dopo l’eliminazione con il Belgio rende bene l’idea del mio orgoglio. Che non è solo calcistico. Ho letto molti commenti di stupore, ma chi sa come ragiona questo popolo di certo non si stupisce. Io infatti non lo faccio. Anzi, mi sarei meravigliato se non l’avessero fatto. Vi racconto che cosa succede in uno spogliatoio giapponese di calcio quando finisce una partita: il giocatore che si sfila per primo un indumento lo piega e lo sistema per terra, tutti quelli che vengono dopo utilizzano lo stesso metodo. In pratica si formano quattro pile di indumenti sporchi: maglietta, pantaloncini, calzettoni e canottiere tecniche. Questo succede perché il lavoro del magazziniere è visto col massimo rispetto e tenuto nella massima considerazione.
Sono cose che dal di fuori non si possono immaginare. Noi siamo abituati a lanciare tutto per terra, tanto c’è chi ci pensa. La loro è proprio una forma mentis, ma su tutto: i muratori arrivano al lavoro mezzora prima perché il capomastro gli fa eseguire esercizi di preparazione muscolare. Vivere là è come vivere in un fumetto. Tornando agli spogliatoi, posso raccontare un altro aneddoto. Alla fine del ritiro pre-Mondiale, quattro anni fa, erano in 24mila stipati in un palazzetto per salutarci prima della partenza per il Brasile. C’era una passerella che dagli spogliatoi portava al centro dell’impianto, i giocatori si cambiarono, posarono su un tavolo tutti i loro effetti personali fra orologi, catenine e portafogli, e uscirono uno alla volta. Io ero l’ultimo, mi ritrovai da solo nello spogliatoio e fra me e me pensavo: “E ora chi chiude qui?”. Nessuno, le chiavi non esistevano e a nessuno, a parte me, erano passati brutti pensieri per la testa nonostante ci fossero centinaia di persone a pochi metri dal nostro stanzone. Sono congetture e paure che a loro nemmeno vengono in mente. Ho girato parecchio l’Oriente, e posso dire con cognizione di causa che i giapponesi sono gli unici con queste qualità. Sono diversi da tutti gli altri asiatici.”