Ecco il contributo al cambiamento del calcio mondiale di uno dei più grandi talenti della scuola spagnola.
Xavier Hernández Creus, noto a tutti come Xavi, ieri si è congedato dal Barcellona attraverso una lunga conferenza stampa.
Il fuoriclasse catalano ha annunciato che lascerà il Barcellona. Sulla decisione dello spagnolo è pesato molto “non essere più protagonista, ne’ titolare, dopo essserlo stato per tanti anni. L’ho fatto per la squadra, ma non è stato semplice“. Xavi ha firmato un biennale con i qatarioti dell’Al-Saad, dove farà parte di “un progetto molto simolante”. “Avrò la possibilità di prepararmi come allenatore e direttore sportivo“, ha dichiarato. Proprio da queste premesse, il regista spagnolo pone subito le basi per un ritorno: “Il mio desiderio è quello di ritornare qui a casa mia, come allenatore o direttore sportivo, questo poi si vedrà“.
E’ suggestiva l’ipotesi di un Barcellona allenato da Xavi. Dal campo alla panchina, per ritornare a dettare calcio e possibilmente arricchire l’idea di gioco che più di tutte ha cambiato il calcio negli ultimi dieci anni circa. E’ il tanto discusso “tiqui-taca”, che ha trovato in Guardiola in panchina e in Xavi e Iniesta in campo i suoi profeti. Da sempre la scuola spagnola ha privilegiato il palleggio, risultando però spesso sterile a causa di un eccessivo narcisismo e ritmi decisamente bassi. Xavi Hernandez (insieme con Iniesta) è l’uomo che ha permesso la svolta: elevatissima velocità di pensiero e capacità di dettare un pressing alto e feroce, hanno reso letali Barcellona prima e Spagna poi. Spesso si è dibattutto se i principali fautori del successo del Barcellona fossero Xavi e Iniesta oppure Messi e Guardiola. L’argentino e il tecnico spagnolo sono rispettivamente una macchina da gol e uno dei migliori allenatori al mondo. Ma la Spagna, l’Argentina e le difficoltà del Bayern a livello internazionale, testimoniano come l’elemento imprescindibile di tutto il congegno fosse Xavi.
Nonostante ciò, il professore del Camp Nou non ha mai vinto un Pallone d’Oro. Si è dovuto accontentare per tre volte del gradino più basso del podio dal 2009 al 2011. L’anno del Mondiale vinto in Sudafrica, grida ancora vendetta, con un’assegnazione a Messi che è parsa frutto più di pressioni degli sponsor che di reali meriti sul campo. Tuttavia, quando fu chiesto a Xavi se avesse rimpianti a riguardo, la risposta del catalano fu secca: “E’ vero, non ho mai vinto palloni d’oro, ma li produco”. Ed effettivamente le storie dei successi personali di Ronaldinho prima e Messi poi, hanno in Xavi il principale ghost writer.
Anni addietro, Guardiola fu interpellato sulla questione del falso nueve. “Il nostro centravanti è lo spazio”, fu la replica illuminante del tecnico iberico. E’ stato proprio lo spazio il compagno di squadra occulto nella carriera del capitano blaugrana. Una capacità fuori dal comune nel vedere sempre il corridoio giusto, in anticipo rispetto agli altri. E di indirizzarvi il pallone per mettere un compagno di squadra in condizioni ideali per calciare verso la porta avversaria. Dani Alves, a riguardo si espresse così: “Mentre noi viviamo nel presente, Xavi vive nel futuro. Pensa più in fretta di tutti e rende tutto molto più facile“.
Una capacità che nel calcio degli ultimi dieci anni è stata comune forse solo al nostro Andrea Pirlo, per il quale Xavi non ha nascosto la propria stima anche nella conferenza di commiato dal Barça: “Sono ormai 16-17 anni che affronto Pirlo e ho sempre ammirato il suo modo di giocare. Penso che nel mondo non ci sia un altro giocatore al mondo con maggior talento”.
Oltre che grande campione, avversario leale dunque. Nella stessa conferenza stampa infatti, Xavi esprime solidarietà anche nei confronti di Iker Casillas, storico rivale del Real e compagno di squadra in Nazionale, che da qualche stagione vive un rapporto tormentato con la platea del Bernabeu: “Non mi piace che Iker debba patire tutto questo. E’ molto ingiusto. Ha dato tutto per il Real e per la Spagna. Spero che le cose cambino“. Xavi non dimentica che in un frangente di grande tensione tra Real e Barça, il portiere dei blancos gli inviò una lettera di riconciliazione. Erano tempi di dita negli occhi, quelli di Mourinho al compianto Tito Vilanova. Il popolo madridista non ha più perdonato a Casillas questo gesto di apertura nei confronti degli storici rivali.
Ma anche nei confronti dello stesso Xavi, l’elitè del calcio mondiale si è espressa con parole al miele. “Il problema non è stato tanto Messi. Erano più Iniesta e Xavi. Possono tenere palla tutta la notte” disse Sir Alex Ferguson, dopo la vittoria della Champions proprio contro il Barcellona. L’arrivederci del centrocampista al Barcellona riporta alle parole di Pep Guardiola: “Sarà molto difficile sostituirlo. Non solo per la sua importanza in campo, è anche molto rispettato negli spogliatoi. Quando non gioca, guarda calcio tutto il tempo. Diventerà un allenatore, ne sono certo“. Nei fatti, il Barcellona di oggi ha già sostituito Xavi. E non a caso, questo cambio nello scacchiere del Barcellona ha leggermente cambiato il modo di giocare dei catalani. Ivan Rakitic ha più corsa e doti di interdizione e non disdegna la conclusione da fuori. Chiaramente, rispetto allo spagnolo paga enorme dazio in termini di palleggio e visione di gioco. E infatti il Barcellona di Luis Enrique ha il baricentro e un pressing meno alti, ricorre più spesso al tiro da fuori e soprattutto ha spostato il fulcro del gioco offensivo sul dialogo tra i tre splendidi tenori sudamericani, Messi, Neymar, Suarez. E a guardar bene, con le dovute proporzioni, l’avvicendamento tra Xavi e Rakitic riflette abbastanza le reali differenze tra Guardiola e Luis Enrique da giocatori: elegante tessitore di gioco il primo, grintoso e inesauribile jolly dall’inserimento efficace il secondo.
Ma la parabola di Xavi al Barcellona non può esaurirsi all’impatto sul club dove ha militato finora. L’eroe del Camp Nou è l’emblema di un’eredità calcistica, come lui stesso affermava nel 2011: “A calcio si gioca per vincere, ma la nostra soddisfazione deve essere doppia. Ci sono squadre che si accontentano di vincere, ma non è la stessa cosa. Manca l’identità. Nel calcio il risultato è ingannatore. Puoi fare tutto molto, molto bene e non vincere. C’è qualcosa di più grande del risultato, di più duraturo: l’eredità“.
Sintesi di questo lascito è ancora nelle parole di Xavi: “L’intenzione è di fare qualcosa in più del semplice vincere. Vogliamo prima di tutto giocare bene, e se riusciamo a vincere, tanto meglio. Anziché attendere l’avversario, il Barça esce allo scoperto e attacca. In questo modo la gente si identifica con il club. I nostri tifosi non comprenderebbero una squadra che non controlla o domina le partite. E’ così che deve essere“.
Come visto, il Barcellona oggi è leggermente cambiato e la Spagna attraversa un momento di transizione, ma questa attitudine ha già influenzato lo stile di gioco di numerose squadre. Basti pensare alla Germania detentrice della Coppa del Mondo o all’Italia finalista ad Euro 2012. Due tradizioni calcistiche -quella tedesca ed italiana- votate l’una al culto della supremazia fisica, l’altra ad un calcio quasi sempre speculativo. La Germania di Low ha mostrato grossa propensione al palleggio e più in generale nei settori giovanili teutonici si è iniziato da almeno una decade a dare molta importanza al tocco di palla; analogamente, l’Italia di Prandelli ha fornito al mondo un’immagine diversa di se’, incentrando il proprio gioco sul possesso palla invece che sullo storico affidarsi ad una fase difensiva granitica. Motivo in più per avere rimpianti su ciò che poteva essere e non è stato nella sciagurata spedizione brasiliana.
Ad ogni modo, tutto ciò è solo la punta di un iceberg che ha letteralmente fatto irruzione nel calcio mondiale, imprimendovi il proprio marchio indelebile e cambiandolo definitivamente. Esattamente come il “calcio totale” di Rinus Michels o la scuola danubiana ancora prima. E se Cruyff fu il profeta in campo della rivoluzione olandese, Xavi lo è stato certamente di quella spagnola.
L’imminente finale di Champions League contro la Juventus sarà l’ultimo atto di un’epopea straordinaria. Probabilmente Xavi partirà dalla panchina. Dovesse entrare, diverrà il giocatore con il più alto numero di presenze nella massima competizione continentale. Superando proprio l’amico rivale Casillas. Eccezion fatta per i sostenitori della Vecchia Signora, tutti gli amanti calcio si augurano di rivedere un’ultima volta la stella spagnola predicare calcio. Magari per addormentare i ritmi, magari per cercare l’ultima imbucata geniale verso la gloria. Dentro lo spazio. Proprio quello Spazio da cui alcuni sostengono sia venuto.
Articolo di Fabio Cotone