Il padiglione Campania di Vinitaly, è affollato come non mai e oggetto di visite importanti
Gli ospiti: dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, fino all’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania, Nicola Caputo (oltre ai molti presidenti di associazioni imprenditoriali di settore, dalla pizza alla mozzarella di bufala al pomodorino del piennolo).
Esordiamo, fermandoci allo stand di “Cantine Mediterranee Srl”, azienda napoletana di produzione e compravendita attiva dal 1946, chiedendo all’amministratore unico Vincenzo Napolitano qualche considerazione sui vini campani”.
“I vini campani, rispetto ad altri, posseggono le caratteristiche acidità e freschezza, grazie ai terreni di origine vulcanica, quindi molto minerali. Sono, decisamente, vini molto particolari e caratteristici. Negli ultimi 15 – 20 anni, la tecnologia e l’enologia ci hanno molto aiutati a perfezionare qualità, equilibrio e armonia dei nostri vini. Nelle vigne dei nostri partner, ad esempio, anche la raccolta dei grappoli, è condotta a mano. Noi acquistiamo masse di mosto e uve di particolari vitigni e li lavoriamo nelle nostre cantine, creando oltre che “vini” anche “abbinamenti ad hoc”, pensando e producendo vini che possano essere abbinati a cibi di tendenza, come ad esempio con la pizza o il sushi; anche il neonato “Ciruzzo”, prodotto attraverso la macerazione nel vino di bucce di limoni di Sorrento, è stato pensato per aperitivi e antipasti.
Altro prodotto che abbiamo assaggiato presso il suo stand è stato il gradevolissimo “Santo Babà”, liquore al gusto di babà, la cui etichetta reca un San Gennaro molto particolare.
Un vino tipico dei vitigni, dei terreni e del clima campano è il Taurasi, una delle poche DOCG regionali (le altre sono il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino e l’Aglianico del Taburno). Vigna Villae, azienda con sede proprio in Taurasi, produce ottimi vini, connubio ideale tra natura, passione e territorio. Siamo in provincia di Avellino, esattamente nel luogo storico che dona il nome al tale vino. L’azienda Vigna Villae ha impiantato a Taurasi vigneti di Aglianico, seguendo pedissequamente e con rispetto tradizioni e metodologie patrimonio della storia vitivinicola del territorio. I risultati sono di assoluto pregio: dal Taurasi al Greco di Tufo; dal Fiano ai Campi Taurasini, fino ad Insieme e a Maria Avitabile (uno spumante brut millesimato).
Una volta apprezzati i tannici corposi e, al contempo, morbidi Taurasi, facciamo pochi metri e incontriamo Vincenzo Canoro, sommelier e relatore Fisar (Federazione Italiana Sommelier, albergatori e ristoratori), per chiedergli, banalmente, “quanto può durare un vino bianco in bottiglia senza perdere le proprie caratteristiche?”: “Dipende dal vino. Ho visto vini bianchi arrivare a 20 anni, senza che ciò avvenga. Ovviamente, dipende anche da come è conservata la bottiglia (buio e fresco indispensabili). Certo, un Prosecco, rispetto ad un metodo classico (più longevo), non dura più di un paio di anni. E’ chiaro che i vini rossi hanno vita molto più lunga, preservando aromi e caratteristiche. I bianchi non hanno il favore delle bucce, riservato ai rossi, e quindi non ricevono i solfiti naturali, richiedendo l’aggiunta per mano umana”.
Un’altra azienda artigianale si fa notare tra le diverse province campane.
Michelangelo Schiattarella, enologo e agronomo, è il conduttore di Canta Vitae, azienda vitivinicola dell’area flegrea, attiva dalla fine del 1800: “i nostri vini iniziano a vivere nella vigna con la raccolta dell’uva a mano, con la quale produciamo circa 100 mila bottiglie anno. Le nostre vigne si trovano nei campi di Marano, Quarto e Pozzuoli, Benevento e Roccamonfina, terreni vulcanici, minerali e molto peculiari. Abbiamo un approccio integrato, riducendo al minimo i trattamenti e tarandoli a seconda del periodo e del meteo”. Il punto di forza dell’azienda è la Falanghina flegrea doc, “Kairos” e l’aglianico IGP, “Puro del Duca”.
Saltando dal padiglione Campania a quello Veneto, padrone di casa, proseguiamo alla ricerca di risposte e curiosità utili.
L’Azienda vitivinicola Aldegheri, sita a Sant’Ambrogio di Valpolicella (Verona), produce 30 tipologie di vini e complessive 800 mila bottiglie. Ad Alberto Aldegheri, uno dei capi della “cantina” chiediamo quali possano essere gli effetti dei dazi USA sui prodotti vitivinicoli italiani ed europei. La sua risposta sembra rassicurante, in attesa di vedere gli effetti sul campo: “I dazi al 20%, porteranno a lievi flessioni nell’immediato. Negli USA, una bottiglia di Amarone “medio” può costare, al consumatore finale, circa 100 dollari, quindi, il 10% in più a lungo andare, su un prodotto di fascia medio alta, non sconvolgerà il mercato”. La seconda domanda, concerne i cambiamenti climatici e l’adattamento indispensabile da parte dei produttori di vino: “Certo che notiamo un caldo maggiore e anomalo. Se abbiamo periodi piovosi più lunghi, occorre adattare l’operatività in campo e il lavoro in vigna con le protezioni necessarie. In base al clima stagionale, decidiamo anche se vendemmiare prima o dopo rispetto al previsto”.
Accordini nel cuore della Valpolicella, è la cantina con vigne situate all’altitudine sul livello del mare più elevata di tutta la zona, circa 550 metri di altezza, producendo 300.000 bottiglie. Ottimi Amaroni, Ripasso e Recioto, con una curiosità molto particolare: “Acinatico” è il nome di un vino prodotto da Accordini e trae origine dall’antico nome della Valpolicella, risalente ai tempi di Re Teodorico: “Acinatico”, appunto. Il recupero di antichi vigneti, della cultura atavica del territorio e anche dei nomi antichi, rappresenta una importante consapevolezza non solo enogastronomica, bensì anche culturale e di incentivazione al turismo lento e di qualità.
I giovani e il vino.
Il mondo del vino sta attraversando una fase di cambiamento, nel quadro di un ricambio generazionale e di una crescente attenzione agli aspetti salutistici e di sostenibilità ambientale
L’Osservatorio Uiv-Vinitaly che, su base Iwsr, hanno analizzato il rapporto che i giovani hanno con il vino, sia sul mercato italiano che statunitense (il 60% del fatturato complessivo delle vendite di vino italiano).
Gli interessanti risultati di questa analisi, sembrano contraddire la versione ufficiale che vede i millenials (28-44 anni) e la generazione Z (dai 18 ai 27) come disinteressati al consumo di vino. In realtà i dati confermano che il vuoto dei consumi lasciato dai boomer (61-79 anni) e dalla generazione X (45-60), in aumento negli ultimi quattro anni, viene colmato dall’interesse crescente dei più giovani.
L’auspicio è che i più giovani sappiano avvicinarsi al mondo dei vini con cautela e rispetto nei confronti di una bevanda che non è un alcoolico qualsiasi, prodotto per “sballare”, bensì un nettare che contiene cultura, antiche sapienze, territori e tradizioni.
E Veronelli cosa direbbe?
Non si può disquisire di vino senza ricordare l’antica saggezza di Luigi Veronelli, il quale è stato gastronomo, giornalista, editore, filosofo e anarchico. E’ giustamente ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano.
“Il peggior vino contadino è sempre migliore del miglior vino d’industria”, una delle più celebri frasi di Veronelli deve essere interpretata come una provocazione.
Lo ribadisce Andrea Alpi, dell’”Associazione Seminario permanente Luigi Veronelli”, anch’essa ospite a Vinitaly: “significa che il vino di chi ha un rapporto con la terra è un vino verace, territoriale, di qualità. Mentre l’industria tende ad uniformare e massificare per macroaree geografiche i vini, raccogliendo grandi quantità di uve per produrre vini dozzinali e svalutando i vitigni, le zone climatiche e le peculiarità di uve, cantine e conoscenze lavorative. Veronelli affermava queste cose negli anni ’50 e ’60. Per fortuna, oggi, molte cose sono cambiate, seppure l’approccio industriale alla produzione del vino non sia svanito”.
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