Quinto numero di Versus, dedicato ai due capocannonieri di Napoli e Milan.
La miglior difesa è l’attacco, un detto che ormai ha assunto quasi dimensioni mitologiche, soprattutto in Serie A dov’è riconosciuto da ogni dove che la squadra che vince è quella che subisce meno gol. Ma con buona pace di tutti e smezzando una sigaretta con Zeman, penso sia abbastanza conclamato che i giocatori che più restano nella mente sono gli attaccanti. O comunque quelli che fanno gol. In questo numero di Versus, in occasione di Napoli-Milan, andiamo a chiacchierare della sfida tra i cannonieri degli azzurri e dei rossoneri.
UN NOVE FALSO…VERO – “Mi chiamo Dries Mertens e faccio il centravanti”. Fino a un anno e mezzo fa sarebbe stata una battuta di cattivo gusto, soprattutto in Olanda, dove Dries ha mosso i primi, veri passi calcistici. All’Utrecht è una pedina fondamentale, non certo al centro dell’attacco, e a 22 finisce secondo (dietro un certo Luis Suarez) nella classifica dedicata al miglior giocatore del campionato olandese. Quando passa al PSV è il prototipo dell’esterno d’attacco: veloce, rapido, abile ne dribbling e scaltro sotto porta: 45 gol e 43 assist in 88 partite, Coppa e Supercoppa d’Olanda con i “Boeren” (i Contadini), abbastanza per suscitare l’interesse del Napoli. Con gli azzurri aveva già avuto a che fare, sia con l’Utrecht nel 2010 (2 pareggi in Europa League, con due assist) e con PSV nel 2012 (nella vittoria, sempre in EL per 3-0, con gol e assist).
Arriva in azzurro ed è subito amore, per la rapidità e la qualità delle giocate. E del resto, un po’ Napoli doveva averla nel cuore, nato il 6 maggio del 1987, quattro giorni prima del primo, storico scudetto. Ha subito legato in modo speciale con la città da quando arrivò, nel 2013, la chiamata di Benitez, al punto da conoscerne ogni angolo, da far diventare la sua casa una sorta di Hotel per amici, colleghi e conoscenti che dal Belgio vogliono visitare la città. Un testimonial, fin dal suo soprannome, “Ciro”, prima accettato per inerzia, ora indossato con orgoglio. Non ha mai segnato al Milan, Mertens. Ma del resto, prima dell’infortunio di Milik non aveva mai fatto nemmeno il centravanti. Guai a gioire delle disgrazie altrui, ma di fare necessità virtù, dopo la rottura del crociato del polacco nell’ottobre del 2016, son stati maestro lui e Sarri: 40 gol e 19 assist in 49 partite nel suo nuovo ruolo. Ma ancora nessuna contro il Milan. “Mi chiamo Dries e faccio il centravanti”, prima non ci credeva nessuno, sabato proverà a convincere anche i rossoneri.
DAI PRESTITI AL…RISCATTO – Quella di far ricredere un po’ tutti è una caratteristica che non riguarda solo l’attaccante del Napoli. Anche Jesus Joaquin Fernandez Saez de la Torre, in arte Suso, ha dovuto fare i conti con chi non ha creduto fino in fondo nel suo talento per poi pentirsene in alcuni casi o godere del cambio d’opinione in altri. Da Cadice (Spegna) a Liverpool (Inghilterra) ci passano circa 2.500 km, tanti ne ha dovuti fare Suso quando nel 2010 Rafa Benitez lo strappò alla concorrenza del Real Madrid. Senza però l’ala protettiva del tecnico spagnolo (che rescisse il contratto con il Liverpool nello stesso anno, sostituito da Roy Hodgson e passato all’Inter), non è mai riuscito a trovare il suo spazio in Premier. Con i Reds solo 21 presenze con un gol ed un assist con in mezzo il prestito all’Almeria, fino al 2014/15, quando venne acquistato dal Milan. Ma anche in rossonero il suo destino è segnato dal prestito, dopo sole 8 presenze, l’anno dopo venne ceduto al Genoa. All’ombra della Lanterna finalmente il talento dello spagnolo si è mostrato al grande pubblico: 19 presenze, 6 gol e 2 assist con tanto di doppietta nel derby con la Samp. A quel punto, finalmente, il riscatto con il ritorno al Milan.
Dopo 7 gol e 11 assist nella stagione 2016/17, coronata con la vittoria della Supercoppa Italiana (con assist), nel 2017/18 Montella lo conferma come uno dei punti fissi del suo schema tattico. A differenza di Mertens, Suso ha trovato sull’esterno destro il suo habitat naturale e grazie all’allenatore campano, già dalla scorsa stagione si è preso la sua rivincita dopo anni in cui dall’Inghilterra all’Italia, aveva convinto poco e costretto a girare in prestito senza poter affermare le proprie qualità. Dopo sole 18 partite in stagione, tra campionato e coppe, lo spagnolo non solo è il capocannoniere del Milan con 6 gol (e 6 assist), ma è tornato anche nell’orbita della Nazionale Spagnola, con la prima convocazione dai tempi dell’Under 21, per le partite di qualificazione ai mondiali contro Italia e Liechtenstein, pur senza giocare. “Più semplice vincere lo scudetto con il Milan”, ha risposto riguardo le possibilità di volare in Russia con la sua nazionale, ma per chi, a soli 24 anni ha già dovuto far ricredere società di un certo blasone, siamo certi che il futuro possa solo essere roseo se giocato con la stessa feroce determinazione.
Cambiare la carte in tavola con passione, dedizione e determinazione, è così che ci si conquista il posto nell’Olimpo del calcio. Quando ti dicono che un giocatore di 1.68 per 80 kili non potrà mai essere un centravanti e stupisci il mondo con gol e costanza. Oppure quando pensi di aver raggiunto un grande traguardo, ma la società di turno non crede in te e ti manda in prestito, salvo poi riprenderti il posto da titolare con gli interessi. In ogni momento la carriera di un calciatore è segnata da dei “turning points”, un cambio modulo, un cambio allenatore, l’infortunio di un compagno, la ricostruzione di una società. L’importante è farsi trovare pronti quand’è il momento, perché, citando De Gregori: “un calciatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia”. Napoli-Milan è anche questo: il coraggio di cambiare, la fantasia di reinventarsi, per un futuro da protagonista.