Alle 17 e 30 di oggi Rino Gattuso, ex tecnico del Napoli, ha tenuto la conferenza stampa di presentazione come nuovo allenatore del Valencia.
Questa la sua conferenza stampa:
“Per me oggi è la prima volta che vedo Valencia e il Mestalla. E’ un orgoglio e un onore allenatore questa squadra ed essere in questo club. Grazie al presidente Peter Lim, alla dirigenza che mi ha dato questa possibilità. Spero che lavoreremo bene. Abbiamo un compito difficile, ma io e il mio staff non abbiamo paura. Per me la squadra non è 24-25 giocatori, ma 55-60 persone che lavorano insieme a noi, tutti insieme. Abbiamo rispetto per tutti, questa è la mia mentalità, ma paura di nessuno. Per me oggi è meglio parlare in italiano perché so che ci saranno molte domande difficile e devo rispondere correttamente. Chiedo perdono per questo, ma è meglio parlare in italiano per il momento”.
La difesa subisce troppi gol da anni: è da qui che comincerà il suo lavoro?
“Dipende. Se io faccio 80-85 gol e ne subisco 50, ho differenza reti di +35. Se invece ne faccio 50 e ne subisco 50 siamo 0-0. A me piace un calcio in cui si comanda il gioco, palleggiare dal basso. Se subisco tanti gol devo farne almeno il 30-35% in più”.
Ha parlato con i leader della squadra?
“Non ho chiamato ancora nessuno perché mi sembrava corretto fare prima la presentazione. Oggi ho visto due calciatori, in questi giorni sicuramente andrò a chiamarne altri, vederli uno ad uno e vedere che voglia e che sensazioni hanno”.
C’è stato il Gattuso calciatore e ora c’è il Gattuso allenatore: che differenza c’è?
“Basta vedere che calcio propongo e i miei dati. Se facciamo questo paragone c’è una differenza incredibile. Quando giocavo sudavo sempre la maglia, ero sempre a correre. Oggi invece vedo il calcio in maniera diversa. Mi piace che la squadra giochi, mi piacciono calciatori pensanti che sappiano fare molte. Oggi Gattuso allenatore e Gattuso calciatore sono molto diversi. Però nel calcio c’è bisogno del fuoco dentro, la passione, la voglia di soffrire. Come nella vita quotidiana, la differenza la fa chi si allena bene. Io l’ho vissuta per tanti anni così la mia professione. Quando giocavo tante volte sembravo presuntuoso in campo, ma la presunzione me la dava il mio lavoro quotidiano. Ero forte perché non lasciavo nulla al caso. E voglio vedere questo nel mio spogliatoio. Nelle squadre che ho allenato finora a volte mi è riuscito, spero di riuscirci anche qui”.
Com’è arrivato qui? Che sensazioni ha?
“Quest’anno io non ho voluto lavorare perché non avevo la voglia giusta, la cattiveria giusta. E’ stata una mia scelta. Prima del Valencia ho parlato con 7-8 squadre, ma sono qua perché sono consapevole che questo è un gran club. La mia storia dice una cosa: sono stato uno dei primi italiani ad andare a giocare in Inghilterra a 17 anni e mezzo, sono stato il primo campione del mondo a lavorare in situazioni complicate. Quando mi ha chiamato il Valencia l’ho scelto subito perché giocare in uno stadio così, con una tifoseria così, ne vale la pena. Sarà complicato, ma se faremo un buon lavoro sarà bello”.
Dopo Milan e Napoli, ecco il Valencia.
“Al Napoli e al Milan è stato facile, bisogna tornare più indietro, quando allenavo Sion o Creta. Lì si che le situazioni erano difficili, ma qui no. Sono stato nella Ciutat Esportiva e ho visto che sono in un gran club, dove si può vivere bene. Bisogna cominciare dal senso di appartenenza. Suona bene: Napoli, Milan e il Valencia è collocato nella stessa fascia. E’ una società di un fascino e una storia incredibili, anche se ora è in difficoltà. Dobbiamo pedalare, ma ne vale la pena”.
A chi si ispira come allenatore? Ha sempre parlato bene di Ancelotti.
“Non si può fare copia-incolla da un allenatore all’altro. Ogni allenatore ha un suo modo di vivere la partita, di parlare, uno stile suo. Tutti gli allenatori che ho avuto sicuramente mi hanno lasciato qualcosa. Si può vincere con tutti gli stili. Ancelotti, ad esempio, è un allenatore che non è duro e ha vinto. Lippi invece è duro e ha vinto lo stesso. Giusto per fare due esempi. Io quando alleno la squadra mi diverto. Mi piace molto parlare coi calciatori, ma a una condizione: quando si entra nel terreno di gioco si fa sempre con grande professionalità. Posso accettare degli errori, ma deve esserci serietà nel lavoro. Mi piace avere una squadra che scherza, che sta bene insieme. Ma bastano 2-3 giocatori per rovinare un allenamento e per l’allenamento è sacro, il sacrificio è chiaro”.
Come ti piacerebbe che sia identificato il Valencia di Gattuso?
“Sicuramente giocheremo con una linea di difesa a quattro. Poi possiamo parlare di due centrocampisti o di tre centrocampisti, quindi 4-3-3 o 4-2-3-1. Ma l’importante è il gioco, è tenere la palla. Con molta professionalità proveremo a giocare il calcio che mi piace, quello che sto portando avanti e su cui sto lavorando da quattro anni”.
Può chiarire la sua relazione con Jorge Mendes?
“Ho cominciato otto anni fa la mia carriera da allenatore. Nella mia vita non ho mai preso un calciatore di Jorge Mendes. Sono nel calcio da 27 anni e ho un rispetto incredibile per Mendes, un uomo di calcio e un amico. Ma non ho mai fatto un’operazione con lui, né al Milan né al Napoli. Poi se essere amico di Jorge Mendes e rispettare Jorge Mendes è un problema, il problema è vostro, non mio. Io non ho fatto nessuna trattativa con Mendes. Anzi, la prima persona con cui ho parlato quando si è saputo del Valencia è stato l’ex presidente Anil Murthy. Poi dopo io ho chiamato Mendes per dirglielo. Ma spero che se lui ha un calciatore funzionale possa aiutare me e il Valencia. Noi abbiamo bisogno di calciatori forti. Questo vale per Jorge Mendes come per tutti”.
Cosa le ha chiesto il presidente Lim?
“Il 29 maggio sono partito da Milano Malpensa per andare a Singapore con Anil Murthy. Poi il giorno dopo è uscita la notizia che si era dimesso. Non sono partito con Jorge Mendes, sono partito da solo. Jorge arrivò il giorno ancora seguente. Sono stato due giorni a parlare con il presidente Lim. Di tutto: del problema di Soler, di Guedes, di Gaya, delle soluzioni da trovare se questi calciatori andranno via. E ho trovato un presidente che già sapeva di questi problemi. Il mio punto di riferimento in questo momento sono due persone: il presidente Lim e il nostro direttore sportivo Corona. Poi è normale che sappiamo di dover fare tante cose. Ho trovato un presidente molto partecipe, che sapeva di cosa parlava, e penso che il tempo ci dirà quello che possiamo fare”.
Se vedrai cose che non vanno nel club cosa verrà fuori? Il Gattuso dal carattere forte o quello riconoscente verso Lim?
“Io lo so che qui tanti sono contro Peter Lim ed è per questo che voglio essere giudicato per i risultati. Se la squadra gioca male insultate me, non Peter Lim. Se perdiamo una partita non ha senso criticare Lim”.
Guedes, Gayà e Soler crede che resteranno?
“Spero di sì, ne parlerò con loro. Quando dico che credo nei dati è così. Oggi parliamo di una squadra che l’anno scorso ha segnato 48 gol e ne ha subiti 53. Quando il 50% dei gol lo fanno Guedes e Soler capisci l’importanza del giocatore. Io non penso all’importanza dei capitani, ma all’importanza tecnico-tattica. Se li perderemo, perderemo tanto. Per questo voglio parlare con loro. Vedremo che margini ci saranno, non siamo sicuri che andranno via. Ma conosco bene la loro importanza. Se andranno via dovremo prendere calciatori con la stessa voglia e lo stesso spirito”.
Lei si reputa un leone o un gattino?
“Tu che pensi? Tra uno o due mesi ci prendiamo un caffè insieme e me lo dirai tu. Io ho già memorizzato le vostre facce (rivolto ai giornalisti, ndr)”.
Ancora su Gaya, Guedes e Soler.
“Stiamo parlando di calciatori che hanno un anno di contratto, non 4-5 anni. Gaya, Guedes e Soler hanno ancora un anno di contratto. E’ normale che quando si parla di un anno di contratto se non prendi provvedimenti dopo il giocatore va via a zero. E’ per questo che sto dicendo che voglio parlare con loro tre, voglio capire se c’è la possibilità di fare uno, due anni di contratto in più. Devo capire se c’è un’apertura o no. Non ho parlato della necessità di vendere questi calciatori. Per un club nel calcio moderno perdere calciatori come loro a zero, con i problemi societari che hanno tutti, è giusto provare ad evitarlo”.
Dobbiamo aspettarci rivoluzioni nell’organico per ottenere la squadra che vuoi?
“Ad aprile ho parlato col club, ma non avevo in testa la cosa che potessi diventare allenatore del Valencia. Lo sono diventato a Singapore, il primo giugno, quando ho parlato col presidente Lim. Sono importanti i tre calciatori di cui abbiamo parlato, ma ce ne sono tanti altri. Abbiamo una rosa interessante, con tanti giovani di qualità. Se riusciamo a rinforzarla e faremo le cose giuste, potremo divertirci”.
Ha chiesto qualche nome preciso per rinforzare l’organico?
“Non abbiamo parlato di nomi, ma dei reparti in cui intervenire. Abbiamo parlato di ciò che ci può servire. Lui mi ha ascoltato, sa come voglio giocare e sa perché voglio giocare in quel modo. L’importante è che chi arriva sia funzionale al nostro calcio, non ci importano i grandi nomi se non sono funzionali. Ci sono 5-6 posizioni in cui intervenire e ne abbiamo parlato”.
Tre anni senza l’Europa: cosa serve alla squadra per tornarci?
“Io ricordo un Valencia temibile. Non ho mai avuto la fortuna o la sfortuna di giocarci contro. Voglio respirare la mentalità giusta. Ogni giocatore deve sapere che quando ha questa maglia addosso ha anche un peso, il peso della storia di questo club”.
Il club deve vendere per 60 milioni per il bilancio.
“Non ho parlato di questo con nessuno, non sono un contabile, non ho una banca. Ho parlato solo di Gayà, Soler e Guedes”.