Sta facendo il giro di tante panchine pur essendo ancora bello ed incollato sulla sua.
Unai Emery, giovanissimo allenatore del Siviglia, è corteggiato da molti club, pur non avendo ancora concluso la sua brillante stagione con il “suo” Siviglia. L’ennesima.
Alla guida degli spagnoli, in questa stagione è arrivato quinto nella Liga alle spalle dei mostri sacri Barcellona e Real Madrid, Atletico Madrid e Valencia.
Ma è anche in finale di Europa League per la seconda annata consecutiva.
Ma chi è Unai Emery?
Uno strano esordio
Una carriera breve ma intensa.
Potrebbe essere questo, ad oggi, lo slogan adatto, quello più opportuno, quello che meglio riassumerebbe, la tutto sommato vergine carriera da allenatore di Unai Emery.
Appena dieci anni fa Unai decide di accettare la proposta del presidente del Lorca, che lo invita a ritirarsi dal calcio giocato (Emery era tesserato ma fermo per un infortunio al ginocchio), per accettare la proposta di allenare la stessa squadra, nella medesima stagione. Un cambio in corsa, un cambio anomalo, inconsueto, quantomeno stravagante.
Emery resta un tesserato del Lorca (terza serie spagnola), ma appende le scarpe al chiodo per dirigere il primo allenamento con quelli che fino al giorno prima sono stati i suoi compagni di squadra.
“Me extrano muchisimo saludar a mis companeros despues del enternamiento y volver a verlos en calidad de su entrenador” (Per me è stato stranissimo salutare i miei compagni e ripresentarmi due giorni dopo nelle vesti di allenatore) – dichiarò il tecnico spagnolo a cambio di ruolo avvenuto.
Grandi consensi, piccola macchia
Emery, pur non eccellendo come calciatore, ha saputo affermarsi fin da subito come uno dei migliori allenatori spagnoli della sua generazione, raggiungendo due promozioni con il Lorca (al primo anno da allenatore).
Poi con l’Almeria (portandola in Liga al primo tentativo)
Poi il meritato salto nel calcio che conta come tecnico di un Valencia che è riuscito a mantenere ad alti livelli nonostante abbia visto andar via anno dopo anno i migliori giocatori della rosa.
Poi la macchia. L’unica della sua brillante carriera da allenatore. Una breve ma fallimentare esperienza in Russia sulla panchina dello Spartak. Una sintonia mai nata con tutto l’ambiente russo non ha prodotto i risultati sperati.
Il definitivo decollo
Ma il suo nome, la sua grinta, e soprattutto i risultati precedentemente perseguiti, non sono stati cancellati dalla memoria di chi lo ha ammirato nella sua terra natia, e così, il direttore sportivo del Siviglia, Ramon Rodriguez Verdejo, meglio conosciuto come “Monchi”, non si lascia sfuggire l’occasione di riportarlo in Spagna nel gennaio del 2013.
Pur non cominciando affatto bene, Monchi, sfidando una piazza turbolenta e contestatrice, ha lasciato che il suo allenatore, tanto voluto, continuasse a lavorare con l’appoggio della società alle spalle.
I frutti di tanta fiducia arrivano prima del previsto con una scalata fino al quinto posto e la conquista dell’Europa League, eliminando in semifinale proprio il Valencia e battendo poi in finale il favorito Benfica.
E’ la vittoria del dirigente spagnolo, orgoglioso della scelta fatta, fiero di averla tenuta in piedi nel momento in cui non arrivavano i risultati. Ma è anche la vittoria di Unai Emery, definito dal suo dirigente come un instancabile lavoratore e, sopratutto, un allenatore in grado di migliorare i proprio giocatori, caratteristica fondamentale in una squadra che deve ogni anno reinventarsi per sopravvivere ad alti livelli.
Il “credo” di Unai
Unai Emery è un tecnico particolarissimo.
Sui generis il suo credo gestionale, psicologico, emozionale, piuttosto che quello meramente tattico.
L’idea del miglioramento è per lui un chiodo fisso, una sorta di martellamento psicologico.
Le sue memorabili dichiarazioni
Memorabile è rimasta una sua dichiarazione che delinea e definisce nei minimi dettagli il suo credo:
“la felicità di un lavoratore di calcio non deve essere nel risultato finale, ma nel processo di crescita che a quel risultato ha portato”.
È in questo ambito che lui si sente di dover intervenire e di poter dare il suo contributo alla squadra. Lavorare sodo andando a limare il margine di crescita del singolo giocatore e del sistema di squadra, ogni giorno, diventa ossessione, maniacalità, una specie di piacevole assillo.
E’ tra i sostenitori della teoria secondo la quale un ottimo allenatore è colui che incide sui calciatori meno talentuosi, piuttosto che l’inverso:
“Mi impegnerò a fare in panchina tutto ciò che chi mi ha allenato non è riuscito a fare con me” – ha riferito un’altra intervista.
Un’ ideologia che lo spinge alla ricerca dell’errore, sempre e comunque, per correggerlo ed eliminarlo.
Un percorso che lo ha reso estremamente esigente sia nei confronti del proprio operato, sia con chi gli sta intorno.
Pretende preparazione massima per ogni azione eseguita durante i 90 minuti, ma anche in allenamento, in modo da mantenere l’attenzione del giocatore concentrata sulla gara ed isolarlo dal pensiero/eventualità di poter fallire. Una sorta di schermo psicologico che rende immuni da scenari negativi.
I modi tranquilli nelle interviste e nelle conferenze stampa spariscono nel momento esatto in cui mette piede nel campo di allenamento. La sua casa, il suo habitat naturale. Qui è dove nasce il percorso di crescita, qui è dove le sue qualità prendono consistenza.
Quando la sua squadra è in campo diventa un leone in gabbia, gesticola, si agita, le sue esultanze spesso ricordano quella di Carletto Mazzone sotto la curva del Brescia.
Vive per migliorarsi e non riesce a non pretendere lo stesso da ogni suo giocatore.
Leggendario è rimasto un aneddoto della sua carriera da allenatore da egli stesso raccontato:
“Ero al Valencia ed in allenamento un mio calciatore, stanco di essere ripreso sempre, mi disse di andarci piano. Lo presi in disparte e gli risposi che non lo avrei ripreso in sole due occasioni, quando non sono qui e quando non ci alleniamo”.
Emery non ha mai svelato il nome del calciatore ma ha sottolineato che nonostante la sua irritante risposta, il giocatore sia rimasto Valencia per tutti e quattro gli anni in cui c’era anche lui. Segnali chiari di grande personalità e carisma.
Un 4-2-4-1 molto variabile
Dal punto di vista tattico parte spesso come un beniteziano convinto (quando gli uomini a disposizione glielo consentono utilizza un 4-2-3-1), ma sovente finisce per non esserlo, persuaso dalla voglia di modificare, in corso, l’atteggiamento tattico della propria squadra.
Il lavoro settimanale e lo studio dell’avversario incidono infatti nella scelta tattica da utilizzare la domenica in campo. Quello che resta inalterato è lo stile di gioco: grande aggressività e costante intensità. Il ritmo della partita deve essere alto così da agevolare la propria squadra, ben preparata ad affrontare ogni mutazione delle situazioni di gioco, soprattutto se imposte dall’avversario.
Saper rispondere alle mutazioni interne di una partita è la grande sfida nella carriera di Emery.
Al limite della sana follia
Quando utilizziamo la parola “maniacale“, non lo facciamo a caso. La quotidianità professionale di Unai Emery incarna perfettamente il significato etimologico della parola.
Le sfide, per il tecnico spagnolo, non iniziano con il fischio d’inizio, ma molto prima. Spesso entra in campo da solo prima di una partita.
Emery misura il terreno di gioco ad ampie falcate. Si posiziona vicino alla bandierina e immagina ad alta voce lo sviluppo di una particolare azione provata in settimana. Parla da solo. Gesticola lungo la linea di fondo. Ripete a se stesso in che cosa la sua squadra ha lavorato meglio.
E’ ancora una volta egli stesso ad aiutare chi lo osserva a capire i suoi atteggiamenti:
“Mi piace assaporare l’odore del campo per poter entrare pienamente in partita. Visualizzare la partita prima che essa inizi, serve anche per costruire di volta in volta la fiducia nel proprio lavoro”.
Perdo solo se sono meno forte
Accetta la superiorità altrui, non la supremazia degli avversari frutto di mancanze della propria squadra:
“Il piano gara può non funzionare, ma che sia per la maggiore abilità del tecnico avversario e non per la poca preparazione della mai squadra” – riferisce.
Tutto studiato nei minimi particolari in allenamento, tutto studiato con maniacale attenzione e dedizione.
Allenamenti strutturati anche con particolarissimi metodi, innovativi, curiosi, ed a quanto pare molto redditizi:
Durante gli allenamenti i concetti espressi devono essere concetti di base, ma assimilati a fondo, così da diventare parte del linguaggio della squadra. In questo caso Unai lavora su tre concetti base che riguardano la linea difensiva:
pressione, bloccare le linee di passaggio, ritorno in linea. Se il giocatore avversario viene pressato la linea va mantenuta; se passa indietro la linea sale per seguire il pressing della squadra; se avanza palla al piede la linea arretra per non concedere spazio alle spalle fino a quando uno dei compagni di squadra non va sull’avversario in pressione e si ricomincia da capo con il mantenere la linea. e così via…
Un sistema finalizzato al dare pressione pazzesca all’avversario, al recupero immediato del pallone e all’immediata ripartenza offensiva a tutta velocità.
Anche in questa stagione il Siviglia è una squadra che fa della velocità di esecuzione e della rapidità nel passare dalla fase di recupero del pallone a quella offensiva le armi migliori.
La squadra ha forse meno qualità in mezzo al campo rispetto allo scorso anno eppure sembra più predisposta ad indossare il vestito cucito per lo stile di gioco che propone il suo allenatore. Un centrocampo forte fisicamente e molto aggressivo, una trequarti di talento, corsa e rapidità, dietro ad un Bacca in forma smagliante.
Cari lettori, non vi sarà mica venuto in mente il Napoli?