Il calcio moderno ha eliminato quasi del tutto la figura romantica della bandiera in campo.
Un anno fa i giornali e i social erano invasi dalle immagini di Gonzalo Higuaín che cantava “un giorno all’improvviso” sotto la Curva B, il fuoriclasse argentino aveva praticamente battuto da solo l’Inter e lanciato il Napoli in testa alla classifica in solitaria dopo 25 anni. Il resto poi, purtroppo, lo sappiamo già e mette in luce le tante contraddizioni del calcio moderno, dove l’anima e il senso di appartenenza sono rarità che hanno lasciato il passo all’esclusiva voglia di guadagnare sempre di più, all’arrivismo e al trasformare in mero mestiere il gioco del calcio.
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Sono sparuti e quasi del tutto spariti i calciatori che rifiutano milioni di euro, o i miliardi di lire fino al 2002, per continuare ad indossare una maglia che sentono come seconda pelle. L’era pre-fallimento del Napoli, con i debiti di “ferlainiana” memoria, a metà degli anni’90 ci costrinsero a veder andar via prima un monumento come Ciro Ferrara e poi il suo giovane ed ipotetico erede, Fabio Cannavaro. Quel doppio trasferimento ci ha “vaccinati” in qualche modo, ma non curerà mai la passione e l’amore per la nostra squadra del cuore. Così è e sarà anche per i tifosi delle altre squadre.
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Non ci sono più i Franco Baresi e gli Scirea, i Maldini e gli Antognoni, i Bruscolotti e i Bruno Conti, tanto per fare qualche nome, resta solo Totti. Un discorso che, piaccia o no, riguarda anche la nostra attuale squadra, escludendo le dovute eccezioni. Marek Hamsik ad esempio, da 9 anni all’ombra del Vesuvio resiste alle tante offerte e sente l’appartenenza alla realtà partenopea, anche Lorenzo Insigne sente addosso l’azzurro, aldilà delle critiche mediatiche e al netto dei “difetti di comunicazione” in chiave-stipendio. Non dimentichiamolo, gli uomini passano e la maglia resta, anche quella maglia azzurra che da domani si spera torni a splendere in questo inizio di stagione di chiaroscuri.
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