Il calciatore di colore Liliam Thuram, ex difensore di Juventus e Parma, ai microfoni del “Corriere dello Sport” ha parlato del razzismo negli stadi italiani.
Questi alcuni passaggi delle dichiarazioni dell’ex calciatore francese che sul tema ha scritto due libri e gira per le scuole per portare avanti la sua battaglia.
“I tifosi italiani cosa possono imparare se da tanti anni si parla e non si fa niente? Per imparare bisogna muoversi, prendere delle decisioni per risolvere il problema. Se non viene fatto niente, si dà il diritto di continuare a chi si comporta in un certo modo. Chi comanda evidentemente non considera gravi i “buu” e il razzismo. C’è tanta gente che parla, sottolinea la necessità di cambiare e poi non fa niente. E per me chi non fa niente, vuol dire che è d’accordo con quelli che fanno “buu”.
In Francia per esempio gli arbitri interrompono le partite in caso di atteggiamenti contro l’omosessualità sugli spalti: sospendere la gara e mandare le due formazioni negli spogliatoi vuol dire educare la gente. In Italia non mi ricordo di prese di posizione così forti.
Quando si parla del razzismo bisogna avere la consapevolezza che non è razzista il mondo del calcio, ma che c’è razzismo nella cultura italiana, francese, europea e più in generale nella cultura bianca. I bianchi hanno deciso che sono superiori ai neri e che con loro possono fare di tutto. E’ una cosa che va avanti da secoli purtroppo. E cambiare una cultura non è facile.
I club devo sentirsi responsabili per quello che succede perché certi episodi si verificano dentro uno spazio chiuso ovvero uno stadio. E quando dico “responsabili”, non intendo “colpevoli”. Le società devono dire: “Noi siamo responsabili. Cosa possiamo fare?”. Se ammetti di essere responsabile è un buon inizio perché non succeda più. Se invece nessuno si sente responsabile…”.