Fabio Quagliarella torna al San Paolo due giorni dopo il suo 36esimo compleanno. Dall’arrivo a Napoli, allo stalker, fino al record di Batisuta.
Avete visto “Lo strano caso di Benjamin Button”? Senza timore di fare spoiler, ci limiteremo a dire che è un film che parla di un tizio che, sostanzialmente, vive alla rovescia. Ecco, la carriera di Fabio Quagliarella può essere vista un po’ come la vita del protagonista del film. Perché, sì, la vita che tu la viva in modo regolare o che ringiovanisci con il passare degli anni, i momenti terribili ci sono, sempre. Il tutto sta a capire come superarli. Ed il nostro Benjamin Quaglia stavolta l’ha fatta grossa, ma grossa davvero. Grossa come eguagliare un record a 36 anni (un giovincello, per carità, ma calcisticamente non facciamo scandalo a definirlo “attempato”) appartenuto ad un mostro sacro del calcio mondiale. O come fare, negli ultimi tre anni (quindi a 34, 35 e 36 segnati all’anagrafe) tre delle quattro migliori annate della carriera dal punto di vista realizzativo: 12 gol nel 2016/17, 19 nella stagione successiva, già 13 in questa con tutto un girone di ritorno ancora da giocare. Boh, che alcuni giocatori migliorano più passano gli anni, come il vino? O che Fabio sia una specie rara, appunto, come Benjamin?
Magari la spiegazione è ancora più semplice ed affonda le sue radici in quel maledetto 2010.
Quagliarella ha appena concluso la sua prima stagione a Napoli. Parliamoci chiaro, ha coronato il sogno di una vita intera, vita partita da Castellammare di Stabia e che dopo il peregrinare tra Torino, Fiorentina, Chieti, Ascoli e Udinese, l’ha portato a vestire il 27 azzurro. E’ il leader offensivo della squadra. E’ l’idolo incontrastato dei tifosi che l’hanno visto segnare gol da cineteca (gol alla Quagliarella) e poi baciare lo stemma della sua squadra, del suo Napoli, sotto la sua curva. Masaniello, niente di più, niente di meno. Poi il campionato finisce, 11 gol e 6 assist, doveva essere il primo capitolo di una storia incredibile. E invece arriva il trasferimento ad agosto alla Juventus. E gli insulti. Quagliarella è il pericolo pubblico numero uno, il traditore che ha preferito vestire la maglia dei rivali storici piuttosto che diventare il simbolo della sua città. E’ una delle separazioni più dolorose degli ultimi anni di Serie A. A Castellammare vengono tagliate le cime della sua barca che finirà alla deriva, non può presentarsi al San Paolo senza che venga subissato dai fischi, reietto e ripudiato dalla sua stessa città.
Fabio resta in silenzio, ascolta, assorbe e niente, sta zitto. Perché conosce la verità, una verità che non ha potuto rivelare a nessuno fino al 17 febbraio 2017 scoppiando in un pianto liberatorio davanti alle telecamere. Raffaele Piccolo, ex agente della Polizia Postale, viene condannato a 4 anni ed otto mesi di reclusione. Piccolo aveva prodotto, dal 2009, periodo in cui Fabio vestiva la casacca azzurra, lettere minatorie in cui il giocatore veniva ingiustamente accusato di rapporti con la camorra e di relazioni con minorenni. E’ un calvario che impedisce a Quagliarella perfino di lasciare il centro tecnico di Castelvolturno e che porterà De Laurentiis a cederlo contro la sua volontà alla Juventus. Svelato il mistero, arriva la riconciliazione con il pubblico napoletano che lo accoglie al San Paolo come il figliol prodigo ora che veste la maglia della Sampdoria, tributandogli uno striscione che recita così: “Nell’inferno in cui hai vissuto enorme dignità, ci riabbracceremo Fabio, figlio di questa città”.
E qui arriva il fatto curioso. Quagliarella, come liberatosi di un demone che gli pesava sulle spalle e sull’anima, inizia a segnare, segnare, segnare. Non si è più fermato da allora, battendosi stagione dopo stagione, tanto da far pensare che, invecchiando, la vecchia volpe diventi ancora più forte. Benjamin Quaglia, dallo stalker al record, dalle lacrime alla gloria, l’uomo che visse una carriera al contrario. Certo, questo. Oppure, semplicemente, a un certo punto, nel momento migliore della sua carriera, quello che avrebbe dovuto vederlo esplodere con la maglia che più ama al mondo, quella azzurra, Fabio s’è visto tappare il rubinetto. Mancava l’aria, sotto il peso di una colpa che non aveva e di una persecuzione che gli toglieva il respiro. E se quanto abbiamo visto di Quagliarella fino ad ora non fosse altro che quel che vediamo quando un rubinetto ha poca pressione? Cosa succede, se giriamo la manopola totalmente e lasciamo fluire tutta l’acqua?
Che Fabio va in gol per 11 partite consecutive, eguagliando il record in Serie A che appartiene a Gabriel Omar Batistuta. Che finalmente può gioire. Di chi domani, due giorni dopo il suo 36esimo compleanno farà ritorno in quella che poteva e doveva essere casa sua, il San Paolo, non da traditore, ma da leggenda del calcio italiano. Mai dimenticando cosa ha passato, ma traendo forza da ogni tappa della sua vita, della sua carriera. Di una carriera, vissuta alla rovescia.