Tramite i profili social ufficiali, Chicco Spalletti figlio dell’allenatore del Napoli Luciano, ha voluto scrivere una lettera al padre dopo questa stagione in azzurro.
È strano perché figli di altri allenatori che ho conosciuto non sentono le partite dei loro cari come le sentiamo noi, forse perché sono stato in Toscana e appresso a babbo sognando di andarmene il più lontano possibile, ma in quell’entroterra la famiglia ti attanaglia anche nei momenti più intimi ad anni luce di distanza, Federico in the middle. Lo scudetto io l’ho sempre vissuto con fastidio, fatica, ansia, sentimenti che a volte sono sfociati in odio, obbligato a parlarne e sentirne parlare, ormai convinto che mio padre non lo avrebbe mai vinto. Convinzione cresciuta vedendolo lavorare sia in Toscana che in campo, Luciano Spalletti il “muratore del calcio”, una carriera non vittoriosa (in Italia, non vanno dimenticati gli scudetti in Russia di cui nessuno è veramente riuscito a capirne la statura) ma pur sempre gloriosa, anche perché calzante ad un workaholic di campagna che tracciava la strada per successi futuri di cui mai si è preso il giusto merito, un eterno ricco-povero: questa nella mia testa la ragione per vedere con serenità mio padre senza scudetto.
Avevo fatto il callo alla superificiale retorica del perdente, perché se è vero che nel calcio vincere è l’unica cosa che conta, arrivare ad un obiettivo, che sia personale o prefissato dalla società, non può che essere una vittoria, la quale quindi acquisisce un valore relativo. Sentendo le storie di mia nonna che raccontava da dove veniva mio padre e vedere dove era arrivato, ero serenamente convinto che fosse un vincente, nel senso stereotipato del termine. Finalmente, siete tutti obbligati a ritenerlo tale, non c’è argomento che tenga e questa è la cosa di cui sono più fiero, che il mondo riesca a vedere lo Spalletti lavoratore con i miei stessi occhi, anche se per ragioni differenti, anche se non vuole: se era poesia non vincere in Italia per i motivi sopracitati, immaginate finalmente farlo in una piazza ricca-povera proprio come te. Non sono felice, sono sereno: babbo, sono orgoglioso di te e quando si parla di lavoro ti ho sempre difeso a spada tratta, garantiscimi la possibilità di sentirmi parte di tutto ciò. Firmato, un perdente.