Una “coppetta”. Così era stata definita da tanti. Una “coppetta” che ha riservato l’imprevedibile.
Ma il nastro va raccolto, riavvolto. La storia va rivissuta. daccapo. Ancora una volta.
Napoli-Juventus non è una partita, non lo è mai stata. Napoli-Juventus è la partita. Almeno per i napoletani colmi di napoletanità. L’adrenalina, l’attesa, la febbre, che naturalmente consegna al cuore una partita così, si è inizialmente infranta su di uno scenario emozionalmente modesto, mesto, desolante, silente, quello del minuscolo stadio di Doha. Una finale di Supercoppa Italiana travestita da partitella infrasettimanale. Così sembrava. Sembrava.
Il fato, il destino, la casualità, la sorte, la provvidenza, poi, l’hanno trasformata in una delle emozioni più forti che il calcio italiano ha regalato ai suoi appassionati.
Una gara, quella del Napoli, persa per ben cinque volte prima di essere clamorosamente vinta: il copione sembrava quello solito, sembrava.
Errore difensivo grossolano stile San Mames e come sempre avversari in vantaggio al primo tiro indirizzato verso la porta partenopea. Lo sconforto invade la psiche di tutti, i fantasmi del passato offuscano la vista di molti. Ma è Natale, e si vede, ci pensa il Napoli a distribuire pacchi di fiducia ai tifosi: la partita la fanno gli azzurri, la Juventus non riesce ad essere se stessa, il Napoli c’è, Buffon anche.
L’animo del tifoso è un misto di emozioni, la consapevolezza di una gara all’altezza si fonde alla paura di non farcela.
Ma è il momento dei professori, in cattedra ci salgono Gonzalo Higuain e Carlitos Tevez. Saranno loro a dare l’ennesimo e cospicuo contributo emozionale ad una gara che termina ai supplementari con il risultato di 2-2 frutto dei colpi inferti dai due campioni argentini.
La Coppa è ancora lì, immobile e indisponente. Come se fosse la donna più bella del mondo, ammicca tutti ma non si lascia sfiorare da nessuno. Il bello deve ancora venire, si va ai calci di rigore.
Si sfidano il portiere più forte al mondo con quello più criticato a Napoli, quello che alza le braccia al cielo per sventare gol già fatti, con quello che le alza per invocare una forma smarrita da troppo tempo. La serie dei cinque penalty a testa non basta, si va ad oltranza.
Gli animi sono tesi, i cuori palpitanti. Gli specialisti hanno già calciato, la paura incombe. Gli occhi dei tifosi azzurri rimbalzano repentinamente dal portiere azzurro ai reduci chini sulle ginocchia al centro del campo. Il destino della gara è nelle loro mani. E non sembrano mani rassicuranti. Sembrano.
I rigori extra-time, di entrambe le compagini, sono l’emblema della straordinaria bellezza del gioco del calcio: l’imprevedibilità che lo contraddistingue è emozione allo stato puro. Il Match-point viene bruciato per ben due volte dai bianconeri, il Napoli è in vantaggio.
Adesso tocca a lui, proprio a lui, a Rafael Cabral. Tocca a lui sventare il rigore di Padoin e traghettare la Coppa verso Napoli.
Quel volo sulla sua destra rimarrà impresso nella memoria di molti, quell’attimo sembrato un’eternità, quel balzo che gli ha consentito di parare l’imparabile. Quel capolavoro stilistico che ha consentito al Napoli di arricchire la sua bacheca e mandare in estasi i suoi trepidanti tifosi.
Un ragazzo caduto in difficoltà dopo il grave infortunio subìto lo scorso anno, un ragazzo che ha consentito al Napoli di vincere. Eppure sembrava un portiere scarso. Sembrava.