L’ultima parte dell’intervista a Sarri di Condò, via sui versi di Charles Bukovski, l’autore preferito dal tecnico del Napoli. Sulla tuta, sulle etichette, tra prostitute e paradiso.
“Io mi metto la tuta perchè faccio un lavoro da campo, mi sembra ridicolo farlo vestito in un altro modo. La divisa sociale la metto se devo rappresentare la società in altri contesti. In questo il presidente non ha mai battuto ciglio. Sono tutti luoghi comuni, si etichettano le persone senza conoscerle veramente. Sono arrivato dove sono a modo mio, a volte ho pagato questa cosa, perchè le etichette si pagano”.
Così si chiude l’intervista di “Mister Condò: Sarri si racconta”, speciale dedicato all’allenatore del Napoli che si lascia a considerazioni, suggerite dal giornalista, e a suggestioni sui versi di Charles Bukovski. Perchè questo è Maurizio Sarri, un sovversivo, un poeta estinto che va avanti per la sua strada. Sincero, schietto, con il suo credo forgiato nei campi di periferia. Con l’anima sensibile di chi, però, non s’è mai disilluso.
“Ho letto l’ultimo libro che ha scritto in punto di morte, mi appassiona molto il suo modo di scrivere nudo, crudo, diretto”.
Nudo, crudo, diretto, come il suo modo di affrontare la vita, la carriera da allenatore, come si sente dalle sue conferenze stampa, così diverse da quelle dei suoi colleghi. “Ospedali, galere, prostiture, queste sono le vere università della vita”.
“Il calcio può stare in tutte queste sezioni, forse le prostitute è quello a cui si adatta meglio”.
“L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci perchè accanto a lei provi serenità”. Sarri si è sempre sentito libero di essere se stesso, anche di fronte a chi l’ha criticato anche solo per il modo di presentarsi in campo.
“Etichettato a volte ingiustamente, ma per fortuna non condizionato. Sono fatto così e forse è questo il motivo per cui sono arrivato in Serie A a 56 anni, però ci sono arrivato”.
E l’umiltà di essere come si è, si scontra con un mondo in cui l’ambizione la fa da padrona, quello del calcio. Ma per Bukowski, “L’unica ambizione ammissibile è quella di non essere nessuno”.
“Io la mia carriera l’ho preseguita per il campo, l’allenamento giornaliero, la fatica domenicale, non per la notorietà. Allenamento, fatica e campo, tutto quello che riguarda il rettangolo verde mi fa sangue”.
“Resistere significa tirare fuori le palle. Minori sono le possibilità di vittoria più fa dolce è arrivarci”.
“Quando si parla di questo, la gente pensa sempre a la Champions, la Serie A, la grande squadra. Ma magari nel cuore hai la promozione che hai ottenuto a Pienza, un paesino vicino Siena e che a te ha dato un’emozione gigantesca. Si pensa che l’emozione sia proporzionale alla grandezza dell’evento, ma non è così“.
Si chiude, in perfetto stile Chinaski, con l’allusione sessuale di rito, perfettamente stemperata da Mister Condò: “Di fronte a una bellissima donna, il paradiso può essere anche in terra”.
“In paradiso mi sento solo per la mia squadra, il resto è libidine. I 20 minuti contro il Benfica tra il 5′ e il 27′ del secondo tempo sono stati arrapanti. La libidine per il gusto me l’ha data il Barcellona di Guardiola”.