Direttamente da Sky, “Mister Condò: Sarri si racconta”. L’allenatore del Napoli ricorda i suoi esordi, parla del paragone con Sacchi e con i suoi modelli e del senso di responsabilità verso i suoi collaboratori.
“In banca mi sono divertito, il mio lavoro era divertente. Ma era arrivato il momento in cui mi sentivo allenatore, volevo stare in campo dalla mattina alla sera, è stata una scelta inevitabile”.
E’ così che comincia il racconto di Maurizio Sarri nella puntata di “Mister Condò” dedicata al tecnico del Napoli. “Sarri si racconta” e lo fa senza veli, com’è abituato, con quella schiettezza e sincerità a volte disarmante. Inevitabile cominciare con i suoi esordi nei dilettanti.
“Il mio primo incarico non era da professionista. Vincemmo la Coppa Italia di Serie D e arrivammo in Serie C2, fu fantastico. L’anno dopo passai a professionista e ottenemmo la promozione in C1. In quel momento ho pensato che forse potevo farlo veramente l’allenatore. Lavoravo quasi nello stesso modo di adesso, giocare nei dilettanti non vuol dire non essere professionale, anzi, ho avuto anche dei professionisti poco professionali”.
Una categoria, quella degli allenatori da gavetta, che Sarri si sente di rappresentare. Ma la gavetta è una cosa che accomuna l’allenatore del Napoli ad uno dei suoi modelli principali:
“Il paragone con Sacchi? Non so, Arrigo ha vinto tutto. Per il momento si possono paragonare solo gli esordi nei dilettanti. Sono onorato del confronto, se faccio questo mestiere è per il suo lavoro. Me lo guardavo in cassetta, il senso di ordine che aveva la sua squadra era sconvolgente. Ho studiato l’ Ajax di Cruijff, il Milan di Sacchi e il Barcellona di Guardiola, stiamo parlando di grandissimi che hanno cambiato qualcosa nel mondo del calcio”.
Allenare è una cosa praticamente scritta nel dna di Sarri, che già da piccolo mostrava doti…quantomeno di leadership.
“A 15 anni ero nel campionato allievi, a un certo punto ci trovammo senza allenatore. Allora caricai i miei compagni sul pullman, ho fatto la formazione, abbiamo giocato, abbiamo vinto 2-1 e tornammo a casa. Evidentemente questa cosa di allenare era nel dna”.
Ma da grandi poteri, derivano grandi responsabilità. E quella che si è sempre sentito addosso il tecnico del Napoli è di dover rendere felici coloro che gli stanno vicino, soprattutto i suoi collaboratori. Una cosa che lo porta a dare sempre il meglio di se:
“Ho bisogno di avere accanto gente che stimo e che voglio bene. Se ho vicino persone a cui mi affeziono in modo molto forte mi sento come se dovessi far bene per loro. Mi sento il senso di responsabilità e mi sento obbligato a rendere felice una persona che ha dimostrato di stimarmi e di volermi bene. Io sono uno che manifesta poco i propri sentimenti, ma mi affeziono molto alle persone con cui lavoro”.