Nell’edizione odierna de ‘Il Mattino’ ha parlato l’ex allenatore Arrigo Sacchi.
Sacchi, per il Napoli una stagione da sogno?
«Sì, ha fatto un “miracolone” perché all’inizio della stagione non c’era in giro nessuno che avrebbe scommesso su questo cammino straordinario degli azzurri. Non so se Spalletti, come me, avrebbe mai pensato di raggiungere certi livelli: c’è sempre una correlazione tra la grandezze del sogno e quella del risultato».
Bisogna dirlo: finalmente una vittoria del merito.
«Vero, è così. Il calcio è spesso la metafora delle abitudini di una nazione dove ha sempre il sopravvento la furbizia, che è simile alla disonestà e che non è certo un valore che va insegnato: da noi il calcio si è tramutato in difensivo e individuale. I romani sono stati gli ultimi a vincere e a fare squadra. Poi siamo stati invasi e ognuno ha pensato solo ai propri interessi di campanile. In Romagna Imola, Ravenna e Lugo si battevano di continuo. Il Napoli vince perché ha fatto la cosa che è divenuta più difficile ai nostri tempi: ha fatto squadra, ha creato un collettivo».
Cosa più l’ha colpita?
«Il Napoli sta compiendo un capolavoro perché nel suo gioco c’è tutta l’espressione della coerenza dei suoi giocatori: Spalletti, Osimhen, Lobotka e tutti hanno compreso che c’è sempre un solo antidoto che funziona contro ogni cosa e che il miglior propellente a tutto: fare sempre il proprio gioco, imporlo. Per diventare un collettivo come quello che ha creato Luciano occorrono tre cose: prima di tutto, forte motivazione. Seconda cosa elevato spirito di appartenenza. E terza cosa, il gioco. Il vero pericolo arriva adesso».
Un trionfo dopo una dura sforbiciata.
«Proprio questo mi piace: il fatto che lo scudetto arrivi dopo il taglio degli ingaggi. Come il Milan un anno fa. Era ora, è un segnale per tutti. Churchill diceva “Cambiare non equivale a migliorare ma per migliorare bisogna cambiare”. Ecco il coraggio che ha avuto De Laurentiis e che dovrebbero avere in tanti. Ma questo è un Paese antico che, diceva un mio amico spagnolo, “le gusta la antiguedad”».
Perché è stato bravo Spalletti?
«Perché è riuscito a rendere questo gioco più spettacolare, ha provato a dare emozioni, gioie. Ha smesso di dare l’immagine di un calcio italiano retro. Sarri aveva già iniziato questo processo di rinnovamento».
Ci sono dei rischi in questo ciclo che inizia?
«Bisogna continuare a guardare non nei piedi dei calciatori, ma nella loro testa. È la regola. E questa cosa dovrà essere rifatta sempre, ogni anno, già la prossima estate. Perché il rispetto del bilancio è una grande correttezza. E adesso, il Napoli ha uno stile».
Cosa significa?
«Lo vedi giocare e capisci che il gioco, l’impostazione dicono: “Siamo il Napoli”. E questo produce un orgoglio nel vestire questa maglia. Il suo calcio è bellezza, è emozione, spettacolo, dominio, ottimismo, innovazione».
Come andare avanti?
«Godersi questo scudetto. Fare festa a lungo, è giusto, meritato. Poi non perdere la testa, continuare nella ricerca, prendere ragazzi, che solo le persone competenti come De Laurentiis possono trovare in giro per l’Europa».