A “1 Football Club”, è intervenuto Tommaso Romito, ex calciatore, tra le altre, di Napoli e Salernitana.
Con la salvezza ormai ad un passo, che stagione è stata quella della Salernitana?
“C’è stato un periodo dove il morale non era certo alle stelle, e la società ha fatto bene a garantire alla squadra una sterzata decisiva. Nicola aveva fatto un grandissimo lavoro, ed i meriti vano riconosciuti anche al tecnico italiano. Tuttavia, Sousa è stato eccellente nel rimettere in piedi la squadra ed a ritrovare unità di intenti”
È più insostituibile Kim o Osimhen?
“Nel calcio si dice che il primo difensore deve essere l’attaccante. Osimhen, oltre a fare tanti gol, è riuscito anche a sacrificarsi ed a lavorare in fase difensiva, Dunque, ad oggi non potrei fare a meno del nigeriano. Un attaccante alto e bravo nel colpo di testa che, però, riesce ad esprimersi al meglio anche in campo aperto. Ce ne sono pochi in giro del calibro del nove azzurro…”
Che ricordo conserva della sua esperienza napoletana?
“Ricordo una telefonata di Pierpaolo Marino il 18 novembre del 2004, e non riuscivo a crederci. Ero convinto di andare a Rimini e quando arrivò la chiamata agganciai immediatamente pensando ad uno scherzo. Non ho esitato nemmeno un secondo a scegliere Napoli e conservo un ricordo bellissimo. A Napoli ho tanti amici e vengo in città ogni volta che posso. Integrarmi non è stato facile nella prima stagione, ma Reja e Marino seppero darmi fiducia l’anno successivo, consentendomi di esprimere al meglio in azzurro e poter vincere un campionato con questa maglia”
Quale è stato il segreto di questo Napoli: il lavoro di Spalletti o il gruppo?
“Tutti e due! I campionati si vincono solo ed esclusivamente quando c’è unità di intenti. Se tutti hanno la stessa mentalità, volontà di vincere e perseguire un traguardo si possono raggiungere obiettivi importanti. In estate nessuno avrebbe pronosticato questo successo ma, forse, il segreto è stato proprio questo. Rifondare da zero credo sia stata l’arma vincente del Napoli”
De Laurentiis vero artefice del capolavoro azzurro?
“Conservo ancora dei ricordi del mio passato napoletano. Il presidente si fermava spesso a cena con noi e si faceva spiegare le peculiarità tecniche e tattiche di questo sport. Lì ho capito che, di calcio, il patron azzurro non capiva molto ma aveva una grande fame di conoscenza per poter prendere le redini del club nelle sue mani. È stato egli stesso a fare gavetta, e ad aver capito di dover prendere in mano la situazione comprendendo appieno cosa fosse il calcio. Quest’anno, con questa volontà di voler cambiare, ha saputo rivelarsi decisivo. Chi non risica non rosica, ed il presidente ha meritato tutta la gioia di queste settimane. Mi è dispiaciuto dell’attrito tra tifoseria e presidente, ma per fortuna tutto si è risolto per il meglio. Va ricordato, inoltre, come De Laurentiis sia prima di tutto un imprenditore. Dunque, ha una mentalità differente e non fa niente per niente. La sua intelligenza è stata quella di comprendere che, per diventare un presidente ricordato ed amato negli anni, era necessario fare delle scelte importanti”
Senza Giuntoli, dunque, il Napoli è in buone mani?
“Credo che la base a Napoli sia delle migliori. Bisogna essere soltanto bravi a gestire al meglio le situazioni. Il presidente non vorrebbe cedere nessuno, anche se nel calcio ci sono sempre i ‘se ed i ma’. Nel Napoli, però, possiamo dire che tutti siano utili ma nessuno è indispensabile”
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