8 agosto 1981: una data che è quasi come Natale per chi ama davvero il tennis.
A Basilea, nasceva Roger Federer, probabilmente il più grande tennista di tutti i tempi. Nasce praticamente con una racchetta in mano, visto che inizia a giocare a tennis a soli 6 anni.
E oggi, a quasi 35 anni, è il primatista di vittorie negli Slam, di settimane trascorse in vetta al ranking ATP, di trionfi a Wimbledon, e detentore di svariati altri record.
Che fosse un predestinato, lo si capisce subito, ma un grosso problema caratteriale lo accompagna per i primi anni di carriera: il giovane Roger è irascibile e nevrotico, tanto da scagliare più e più volte la sua racchetta in giro per il campo nei momenti difficili.
Sembra impossibile: Roger Federer, composto ed elegante da far paura, praticamente un Cary Grant con la racchetta, da ragazzo era rabbioso e stizzoso. Così a 17 anni decide di far visita ad uno psicologo, e da lì diviene il Federer che tutti conosciamo: da isterico come John McEnroe, diviene calmo e pacato come l’eterno rivale dell’americano, Bjorn Borg.
Diviene così campione junior svizzero nel 1997 e l’anno successivo trionfa agli junior di Wimbledon. Ma è nel Wimbledon dei “grandi” che Roger si fa conoscere da tutto il mondo: negli ottavi di finale del 2001, incontra “Pistol Pete”, Pete Sampras, uno per il quale il Centrale di Wimbledon era un po’ come il giardino di casa, avendo trionfato per 7 volte nell’Open d’Inghilterra.
Ebbene, Roger sconfigge Pete, in una battaglia durata 5 set. Il novellino che schianta il veterano, in un match, l’unico disputato fra i due, che per molti è quasi un passaggio di consegne. E non solo delle chiavi del “giardino” (dove anche Roger vincerà per 7 volte).
È sempre nel “giardino” che Roger vincerà il suo primo Slam: nel 2003, in finale con Mark Philippousis. Da lì inizia l’egemonia dell’elvetico, che inizia a regnare sovrano per gli anni a venire, fino a quando l’arrivo di un maiorchino, in canotta e pinocchietto, praticamente la sua antitesi, ne mette in discussione la leadership. Rafael Nadal è, senza se e senza ma, il più grande “nemico” di Roger. Una rivalità intensa, entusiasmante, ma sempre condita da grosso rispetto reciproco, che ha avuto il suo picco massimo nella finale di Wimbledon del 2008: per molti la partita più bella della storia. Alla fine se la aggiudica Rafa, che per la prima, e finora unica, volta ha la meglio su Roger sull’erba inglese.
Ma l’anno dopo, Roger si riscatta vincendo nuovamente nel suo “giardino”, e togliendosi la soddisfazione di vincere, per la prima volta, il Roland Garros, unico Major che mancava al suo ricchissimo palmares. Poi arrivano gli anni bui: Roger è l’ombra di se stesso, irriconoscibile. In molti lo danno per finito. Fino al 2012. Roger inizia un’annata meravigliosa, culminata nella vittoria del 7° Wimbledon e la riconquista del 1°posto nel ranking ATP. Ma poi, nel 2013 un altro annus horribilis.
E così Federer decide di cambiare coach, affidandosi a Stefan Edberg, un altro esteta del tennis, uno che con la racchetta disegnava arcobaleni e danzava leggiadro in campo. Vi è quindi una nuova rinascita e Roger torna a giocare a grandi livelli, ma all’orizzonte c’è un nuovo nemico. Non più Nadal, tormentato ormai dai costanti problemi alle ginocchia, martoriate dal suo gioco tutto corsa e potenza, ma Djokovic.
Sembra inarrestabile Nole: potente, veloce, elastico, freddo come il ghiaccio (solo in campo, visto che fuori è un simpaticone), il serbo è un vero robot. Nessuno riesce a tenergli testa (a parte in qualche caso isolato…parecchio isolato). Nessuno, tranne Federer.
E se il balcanico è Robocop, lo svizzero è Zeus: così come il sommo dio dell’Olimpo sconfisse suo padre, Crono, dio del tempo, così anche Roger sembra aver sconfitto il tempo, fermando gli orologi. A quasi 35 anni riesce ancora ad esprimersi a livelli altissimi.
Certo, il fisico non sarà più quello dell’irascibile spaccaracchette, o del cavaliere vestito di bianco che battagliava con Nadal sotto gli occhi della regina. Ma la tecnica è rimasta immutata, così come la classe, il genio e la correttezza. È poesia in movimento, Roger, capace di fare cose mai viste su un campo da tennis, unendo la bellezza del tennis dei tempi andati, alla potenza di quello attuale.
L’anello di congiunzione tra il tennis che c’è, e quello che non c’è più. Un artista capace di disegnare traiettorie uniche col suo pennello (la racchetta). Quando smetterà sarà sicuramente la fine di un’era, e un giorno parecchio triste per gli aficionados. E allora speriamo di ammirare ancora a lungo Roger e la sua peRFezione. Speriamo che Zeus riesca a tenere testa alla clessidra nella loro “titanica” battaglia ancora per un po’.