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Infortunio Milik: il vero problema non sono le Nazionali

L’infortunio di Milik getta benzina sul fuoco della polemica tra i club e le Nazionali, ritenute un fastidio da tutte le società ma che in pochi hanno il coraggio di denunciare pubblicamente.

Le Nazionali sono sempre esistite, impossibile negarlo. Così come è vero che una convocazione in Nazionale è motivo di orgoglio e prestigio tanto per il calciatore quanto per il suo club di appartenenza. Senza contare che bisogna accettare il fatto che se un calciatore è bravo di conseguenza va in Nazionale. Così come fa parte del gioco il rischio infortuni per chi mette le gambe a disposizione della Patria.

Il problema principale è il calendario diventato troppo fitto di impegni e mai adeguato al maggior numero di incontri che un calciatore è chiamato ad onorare: campionati con troppe squadre, coppe europee con gironi eliminatori, impegni delle nazionali anche in amichevoli senza senso o tornei che se non dovessero essere giocati in pochi se ne accorgerebbero.

Ci sarebbe da considerare anche che rispetto al passato è aumentato il numero delle Nazionali in seguito alla suddivisioni di grandi Stati in tanti Stati più piccoli. La conseguenza logica è che per consentire a tutte di partecipare alle varie competizioni, è aumentato il numero delle partite da disputare. Non solo. E’ cresciuto in maniera esponenziale anche il numero dei calciatori sottoposti a stress sia fisico che mentale dovuto ai viaggi e ai cambi momentanei di abitudini.

Se la suddivisione della ex Cecoslovacchia in Slovacchia e Repubblica Ceca è stato bilanciato dall’integrazione della Germania Est e della Germania Ovest nella Germania, le scissioni di Jugoslavia e Unione Sovietica hanno portato il numero dei calciatori impegnati in nazionale da circa 50 a circa 425.

Dalla ex Jugoslavia, che convocava circa 25 calciatori per volta, si sono formate le Nazionali di Serbia, Croazia, Slovenia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia portando il numero di atleti impegnati per ogni pausa dei campionati da circa 25 a circa 175 (25×7).

Dai circa 25 convocati della ex Unione Sovietica, si è passati ai circa 250 (25×10) per la formazione delle nazionali di Russia, Ucraina, Lettonia, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Estonia, Azerbaigian, Uzbekistan e Armenia.

Di tutto questo sembra che solo le istituzioni calcistiche non se ne siano accorte. A dire il vero sembra che non si siano neanche accorte che il numero di calciatori africani nelle principali squadre europee, ha raggiunto cifre stratosferiche e che giocare tra gennaio e febbraio la Coppa d’Africa non è forse la scelta più “gratificante” per i club.

D’altronde il loro tornaconto è garantito senza rischi d’impresa, così come non è un problema loro lo stress psico-fisico al quale vengono sottoposti i calciatori.

Come dice il saggio: ‘e sord’ fann’ venì ‘a vista ‘e cecat’ non certo lo stress e gli infortuni.

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