Prandelli si confessa sulle pagine del Corriere della Sera, parlando della sua avventura tribolata con la Nazionale, di quella nuova, ora, a Valencia e di com’è cambiato il mondo del calcio.
Cesare Prandelli ha una ferita ancora aperta, quella del Mondiale in Brasile, dopo il quale si è interrotta bruscamente la sua avventura alla guida della Nazionale Italiana. In un’intervista al Corriere della Sera, l’attuale CT del Valencia si è sconfessato, dicendo ovviamente di essere felice della sua attuale sistemazione e di non nutrire rancori, in ogni caso, verso la Nazionale, la cui guida ha comunque definito “missione e tortura”: “Dopo il Brasile mi hanno gettato via, mi hanno tradito. Una cosa sconvolgente, ma un’abitudine tutta italiana”.
“Qui il calcio è una passione forte, sono esigenti. Il tiki taka? Non è morto, nel calcio nulla muore davvero, ma c’è un’identità precisa nel calcio spagnolo: vogliono giocare sempre. Gestire il risultato è una vergogna qui”.
Dopo aver parlato dell’evoluzione del calcio italiano verso una svolta propositiva (“Ci sono tanti allenatori bravi, Juve, Roma e Napoli fanno bene con tre sistemi differenti. E’ positivo, la diversità alimenta la crescita”), l’ex CT della Nazionale ha posto l’accento sull’importanza di investire nei settori giovanili, parlando di obblighi per le società nel far giocare i ragazzi dei vivai italiani.
Parole anche sull’argomento procuratori, così ostico al presidente del Napoli De Laurentiis che li ha definiti “il cancro del calcio”:
“Prima eri tu il riferimento tecnico ed umano, ora lo sono i procuratori e gli agenti. Il cancro del calcio? De Laurentiis ha esagerato, ci sono quelli per bene e quelli no. Però dovrebbero collaborare di più con i tecnici ed i club nella fase di crescita del calciatore”.