L’ex attaccante del Napoli Roberto ‘Pampa’ Sosa, ha rilasciato un’intervista che è possibile leggere in versione integrale sulla Gazzetta dello Sport oggi in edicola e della quale vi proponiamo un breve estratto.
“Nel 2004 eravamo quattro calciatori il primo giorno di ritiro a Paestum: io, Montervino, Montesanto ed Esposito. Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale.
L’allenatore Ventura parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi.
A me non spaventa nulla, sono argentino, vengo dalla strada, una volta che mi sono convinto, poi vado come un treno. Non mi guardo indietro.
Napoli mi è entrata subito nella pelle. Qua mi sento a casa mia. Lo dico sempre: chi firma un contratto col Napoli lo firma con la città intera.
Al primo allenamento lavoro fisico in quattro e due palleggi con il pallone sgonfio. Senza forzare. Se si faceva male uno era finita. Finita prima d’iniziare. Dopo pochi giorni cominciarono ad arrivare gli altri…
Ventura non aveva mai allenato in C. Voleva imporre il suo gioco, ma su quei campacci ci voleva altro. Arriva Reja, uomo pragmatico, A gennaio arrivò anche Calaiò. Aveva fatto un casino di gol al Pescara”.
De Laurentiis al primo incontro ci disse: “Ragazzi, se l’arbitro ci fischia rigore contro voi dovete dire grazie”. Non capiva molto di calcio, ma ci fece subito sapere che gli importava il rispetto delle regole. E poi sa scegliere gli uomini, non ne sbaglia uno”.