Meglio la beltà del gioco o la concretezza di un risultato in più con bruttezza?
33 giornate fin qui giocate, 71 punti raccolti (media 2,15), tanti riconoscimenti “verbali” di bel gioco, ma il Napoli di Sarri è ben lontano dal primo posto e a 5 lunghezze effettive dalla Roma. La sensazione di molti, al di là dell’indubbia stima tecnico-tattica anche internazionale (ultima quella francese de L’Équipe), è che gli azzurri siano “troppo belli per essere concreti“, una concretezza (in termini di trofei) non raggiunta per il secondo anno consecutivo e che non porterà nessun titolo in bacheca, oltre a rischiare di far giocare un preliminare problematico la prossima stagione.
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“Essere o non essere, questo è il problema“, si chiedeva Amleto nell’opera omonima di William Shakespeare, una domanda che si pongono molti appassionati e addetti ai lavori partenopei pensando alla stagione azzurra, forse anche lo stesso tecnico di Figline. Essere meno belli avrebbe potuto far trovare qualche punto in più in classifica e andare avanti almeno in una delle due Coppe? il dubbio è lecito, la controprova non l’avremo mai dato il campionato che volge al termine, i segnali però dicono di sì. Lo stesso Sarri, dopo la sofferta vittoria sulla Samp, dichiarò testualmente: “Non siamo stati belli ma ho visto rabbia e determinazione che ci hanno fatto vincere lo stesso, dobbiamo prenderci i 3 punti anche senza spettacolo”.
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Sperando che il campionato possa concludersi nuovamente al secondo posto, forse è questo il punto fondamentale da dove ripartire per la prossima stagione. Gli azzurri, a partire da Dimaro, dovranno essere addestrati anche ad una maggiore “concretezza”, avere anche un’altra faccia – più cinica e meno angelica – per poter sopperire ulteriormente al gap sulla Juventus e lasciarsi alle spalle la Roma, milanesi-cinesi permettendo. Altrimenti anche il prossimo anno potrebbe prender piede in chiave-Napoli il famoso detto: “è bell ma nunn’abball“.
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