Una vera e propria tragedia a Salvador Rosa: muore una donna senza controlli nonostante il marito positivo. I figli abbandonati a loro stessi.
Quanto sembrano lontane da noi certe storie. Succede già normalmente, nonostante la televisione, i telegiornali e questo mondo sempre più connesso dai social media. Figuriamoci ora, in questo momento di crisi, di emergenza e di isolamento causato dal Coronavirus. Chiusi in casa da settimane che diventano mesi, si guarda fuori dalla finestra cercando di ignorare il fatto che ci si chiude sempre più dentro sé stessi. Tanti fili, strade talmente sottili da permetterci quasi di dimenticarle, che raccontano storie, drammi, che si intersecano, si staccano, vorrebbero raccontarsi urlando a squarciagola.
Chissà se, quando tutto questo finirà, ci renderemo conto che portano tutte dalla stessa parte, finiscono tutte nello stesso punto: il cuore, quel tamburo pulsante che abbiamo nel petto. E magari la sentiremo ancora, quella stretta forte, ricordandoci che fuori dalla finestra il mondo è andato avanti e in tanti sono morti. Magari la sentiremo, quella stretta. Magari li piangeremo, i morti.
Morti come Anna, 55 anni, piccola commerciante di Salvator Rosa. Il suo, di cuore, si è fermato a casa. Una casa dove la figlia Arianna piange ed urla la sua disperazione. Perché sono state abbandonate, lei e la madre, in modo inspiegabile visto che il signor Vincenzo, padre e marito, lotta ancora tra la vita e la morte al Loreto Mare contro il Coronavirus. E’ stato trovato positivo, ma non è bastato per pretendere un tampone per i membri della sua famiglia. Ora lui è su un letto d’ospedale, sua moglie è morta senza la possibilità di capire il perché e la figlia si trova sola, con il compagno ed un bambino di 15 mesi, preda di dubbi e di angoscia.
E’ iniziato tutto il 17 marzo. I primi sintomi, Vincenzo ha la tosse, non respira bene mentre Anna ha la febbre. Li portano in ospedale. Lui ha problemi evidenti ai polmoni, mentre lei sviene. A lui viene eseguito il tampone, a lei no. Li rimandano a casa e dopo due giorni arriva il verdetto: positivo. Vengono a prelevarlo con l’ambulanza e dopo 4 ore gli trovano un letto. Buon senso vorrebbe che venissero a questo punto eseguiti controlli anche per il resto della famiglia, invece no. Intanto la signora Anna peggiora, ha la labbra livide, non sente più gli odori, i sapori, non mangia. E’ chiaro quello che sta succedendo. La famiglia, allarmata, chiama tutto il giorno, tutti i giorni, al 118 ma non basta, non rispondono ai suoi appelli. La signora Anna è irremovibile: “Non devo entrare nemmeno in ascensore. Devono venire loro, questa è la regola!”.
Il 24 marzo, una settimana dopo l’inizio della fine, le condizioni peggiorano. Finalmente l’ambulanza arriva, ma è troppo tardi: il cuore della signora Anna ha smesso di battere. Restano le lacrime, la rabbia di chi non riesce a spiegarsi il perché questo sia accaduto, perché questo mondo interconnesso dai social, dalle televisioni, da tutto, in questo momento d’emergenza li abbia dimenticati, abbandonati al proprio destino. Ora Arianna Esposito chiede aiuto, ma dagli uffici sanitari si limitano a chiamate giornaliere per chiedere come va. Come va. Come deve andare. Perché la vita va presa come viene, no? Mica come va. E per alcuni, per citare Troisi, “va sempre una chiavica, guarda un po’ che combinazione”. E intanto un altro cuore ha smesso di battere, altri sono in fibrillazione, spaventati, in attesa di conoscere il proprio destino.
Come sembrano lontane certe storie. Chissà come sembreranno quando ci renderemo conto che i morti non sono soltanto numeri, ma amici, familiari, madri, padri, figli. E che poteva capitare a noi. Magari è capitato già e capiterà ancora. Non dobbiamo essere lasciati soli, non possiamo essere lasciati soli. Qualsiasi cosa, per favore, per alleviare questa stretta al cuore.