Nell’edizione odierna del ‘Il Mattino’ ha rilasciato una lunga intervista il giocatore del Napoli Stanislav Lobotka.
Di seguito la seconda parte dell’intervista:
Tra due giorni c’è il Sassuolo. La Champions può attendere?
«Non abbiamo nessuna voglia di pensare già all’Eintracht. Il Sassuolo è una squadra piena zeppa di qualità. Hanno tanti giocatori di ottimo livello e le partite con il Milan e l’Atalanta sono la prova di quello che dico. Dobbiamo essere concentrati. Ma lo saremo. Poi alla trasferta in Germania inizieremo a pensare già nel viaggio di ritorno da Reggio Emilia. Ma solo dopo il 90’».
Ma ci pensate: voi che questa estate eravate snobbati da tutti, siete tra i favoriti alla vittoria della Champions? «Vero, ne abbiamo fatta di strada. Prima della stagione nessuno credeva in noi, eravamo soli ma la cosa non ci ha mai turbato. Anzi. Ne abbiamo fatto una forza. In Champions nessuno pensava potessimo andare così bene ma abbiamo fatto belle gare e abbiamo mostrato un bel calcio. I complimenti che ci sono arrivati con le vittoria europee sono stati importanti».
Chi è Luciano Spalletti?
«Non è mai felice. Possiamo fare qualsiasi tipo di prestazione, possiamo essere primi in classifica ma lui viene e ci dice che la prossima gara deve essere migliore di quella appena finita. Mi piace che lui dica sempre che dobbiamo giocare a calcio, che ci tenga sempre concentrati sugli obiettivi, che si faccia vedere insoddisfatto anche quando le cose vanno bene. Non staremmo qui senza di lui, senza i suoi richiami a stare sempre concentrati, a non abbassare la guardia. Ogni partita, dice, deve essere migliore di quella prima».
A parte Spalletti, da chi vorrebbe essere allenato? «Faccio un nome facile: Guardiola. Piace a tutti: il suo modo di interpretare il calcio è unico, quello che fa vedere nel City è straordinario. E lo è da tempo».
Come si sente da ago della bilancia del gioco azzurro? «Mi fa piacere che in campo tutti mi cerchino, che sanno di poter contare su di me. Io penso sempre a fare il meglio per loro. Sia quando siamo in vantaggio che quando la gara si complica. Cerco sempre di trovare spazi per loro, con i movimenti che proviamo in allenamento per trovare condizioni migliore per andare a segnare».
Per tutti gli allenatori avversari la parola d’ordine è: fermiamo Lobotka. Ma nessuno ci riesce. Perché?
«Ho incontrato avversari di livello e Amrabat in campionato è quello che più mi ha fatto soffrire. Come Thiago Alcantara che, peraltro, mi somiglia pure fisicamente, cercava sempre di seguirmi senza lasciarmi spazio. Però, lo ammetto: so che gli avversari mi guardano in modo diverso rispetto al passato. Non sto mai da solo, c’è sempre qualcuno che mi affronta: ma io cerco di fare sempre le stesse cose anche quando mi stanno addosso, non è che cambio modo di giocare anche se mi marcano in maniera più stretta».
Ma nell’estate dei malumori, tra di voi c’è stato un patto per vincere?
«Ad essere onesti? No. In quei giorni abbiamo pensato che la delusione era eccessiva: erano andati via giocatori importanti ma ne erano arrivati di altrettanto importanti anche se magari non erano conosciuti. Ovvio, è stato un momento difficile dove nessuno si aspettava nulla da noi, né come qualità di gioco che come obiettivi da poter raggiungere. Però in ritiro ci siamo allenati sempre bene e abbiamo scoperto di avere la qualità per poter fare un buon campionato. Nessuno credeva in noi e questo ci è servito a crescere senza pressioni».
C’è un momento in cui nasce il Napoli degli “invicibili”?
«Non lo so se siamo invincibili. Sicuramente non ci sentiamo invincibili. La forza è nel ragionare partita dopo partita anche se fino all’Inter abbiamo realizzato una striscia molto positiva. Ma noi non guardiamo mai oltre alla prossima partita e non ci voltiamo mai indietro a guardare quello che è successo prima».
Che campionato è la serie A?
«Rispetto agli altri campionati, sono gli arbitri che fanno la differenza nelle interpretazioni dei momenti di gioco. Per questo altrove il gioco è più veloce, ma anche qui è molto migliorato: anche quando vedo le altre partite della serie A mi sembrano più veloci».
Da ragazzo vedeva il calcio italiano?
«Mica solo la serie A, qualsiasi partita. In particolare da piccolo ero ammirato dal Milan, quello di Kakà e Shevchenko, quello delle due finali con il Liverpool. Ma non ero tifoso rossonero…».
Il suo primo ricordo col pallone?
«A sette anni, in strada, davanti casa. Ma non solo quello da calcio. Mica avevamo gli smartphone o i videogiochi di adesso. E ogni occasione era quella giusta per poter stare insieme agli amici e quindi si giocava a calcio, ma anche a basket e a hockey. E pure a tennis. Qualsiasi partita andava bene. Fino a quando trovai qualcuno che mi disse che ero bravino con i piedi e da quel momento ho pensato solo a
quello».
Ha un’accademia per bambini a Trencin.
«Quando arrivai all’Ajax a 19 anni non sapevo parlare bene in inglese e dissi “this is my sen”… Dove “sen” è sogno in slovacco. E così ho voluto chiamare la mia scuola calcio, perché quella frase mi è rimasta dentro».
I video dei festeggiamenti per gli scudetti del 1987 e del 1990 glieli hanno fatti vedere?
«Sì, certo. E mi fanno immaginare quello che potrebbe succedere… Ma la strada è ancora lunga e in salita. Napoli mi piace anche non esco molto da casa (vive a pochi chilometri dal centro tecnico, ndr). Ma quando vedo i tifosi pazzi di gioia per quello che stiamo facendo sono felice: trasmettono amore puro, come pochi altri».
Trovo un difetto: segna poco, nessuno è perfetto. «Vero, faccio pochi gol. Ma non è importante fare gol, sono felice se li fanno gli altri. E con quei gol mi fanno vincere e mi avvicinano ai traguardi per cui ogni giorno diamo il massimo in allenamento».
Lei è uno dei pochi ad aver vinto un campionato.
«Sì, in Slovacchia. Ma so che qui sarebbe diverso adesso, perché il campionato italiano è diverso. Sono altri calciatori che possono spiegare a me come si vince. Poi, magari, il prossimo anno, potrei spiegarlo anche io».