La splendida iniziativa di Martina Maccari, moglie di Bonucci: 575km a piedi per raccogliere fondi per l’ospedale che ha salvato il figlio.
“Ora Matteo sta bene, grazie al cielo è vivo ed è con noi ma il percorso continua, il viaggio non si chiude mai”. Lei si chiama Martina Maccari ed è la moglie di Leonardo Bonucci, il capitano della Juventus e della Nazionale.
Com’è nata questa iniziativa?
“Volevo fare qualcosa che coinvolgesse altre persone e non fosse solo un atto di beneficenza. Si trattava di mettere in comune un sentiero, simbolico e non. Il corso del Po sembrava perfetto, anche perché il fiume arriva proprio sotto le finestre dell’ospedale dove hanno salvato mio figlio. Mi sono molto commossa quel giorno, e Leo con me. Lui è una persona solida, normale, non certo una star”.
Cosa accadde al vostro bambino?
“Era il 2016 e Matteo aveva soltanto due anni. Tornavamo dalle vacanze, si è sentito male e al pronto soccorso del Regina Margherita ci dissero che bisognava operare subito. Io e Leonardo ci siamo trovati sul piazzale davanti all’ospedale ad aspettare, sono trascorse ore e le persone che ci vogliono bene si sono subito strette attorno a noi, hanno creato una barriera d’amore e protezione fisica. Non sapevamo se Matteo si sarebbe risvegliato dalla sala operatoria. L’indescrivibile fortuna di una vita salvata è stata l’inizio delle nostre vite cambiate. Non vorrei tornare indietro. Nessuno di noi vorrebbe non averlo vissuto”.
Perché avete scelto proprio la camminata?
“Mio papà Dino è un cicloamatore, e l’anno scorso ha attraversato l’Italia da Tarvisio a Trapani in bicicletta con una decina di suoi amici a scopo benefico. Gli ho detto: babbo, è una bellissima cosa ma dobbiamo organizzarla meglio, non basta qualche locandina, ora c’è la Rete. Così abbiamo pensato all’iniziativa ‘Sulla stessa strada’, che è anche un progetto editoriale di Nettare creato con Davide Bartolucci, un sito web e un percorso social che mette in comune esperienze di vita. Internet è un’opportunità grandissima e va usata bene. Però il digitale non ci bastava: volevamo corpi, scarpe, zaini e borracce. Volevamo persone con noi. Il primo maggio siamo partiti, e i miei bambini mi hanno aspettato a casa con Leo. Ogni sera guardavano il piccolo calendario appeso al muro per capire dove fosse arrivata la mamma”.
Alla fine eravate in 300, chi per pochi chilometri e chi per tutta la strada. Cos’è stato tutto questo?
“La mia più grande esperienza: come gettare un sasso nel lago e vedere le onde che si allargano. La persone ci aspettavano, parlavano e ascoltavano. Il denaro è stato raccolte attraverso le quote versate dai partecipanti al viaggio, ma anche grazie alle offerte di enti e amministrazioni pubbliche. Abbiamo incontrato molti sindaci. All’inizio, dal Lido di Volano verso il Ferrarese era il deserto, un grande silenzio. Ma nei paesi la gente ha cominciato ad aspettarci. Ricordo un piccolo bar a Mortara pieno di persone. Ho ascoltato storie di intere vite e ho compreso chi preferiva tacere, le persone serene e le persone tristi. Molti chiedevano: voi siete quelli che vanno a Torino? Otto ore al giorno a piedi e non se ne vedeva la fine, perché la pianura può essere smisurata. E il giorno dopo di nuovo. Dormivamo nelle strutture che ci hanno accolti, non abbiamo improvvisato niente e chiunque è stato libero di condividere il tratto di cammino che preferiva. E’ stato preziosissimo anche l’aiuto del videomaker Francesco Raco”.
Lei ha parlato di restituzione: in che senso?
“Sentivo il bisogno di ridare indietro una piccola parte della fortuna che ho avuto. Con i 170 mila euro raccolti verrà acquistato un endoscopio per interventi al cervello, però esiste anche una restituzione più immateriale: può chiamarla gratitudine, o condivisione. Le parole guariscono e consolano, e un grande dolore può cambiare la vita”.
Le mogli dei calciatori vengono spesso considerate delle veline, lontanissime dalla realtà. Forse siamo troppo superficiali?
“Forse. Ma anche noi potremmo fare di più per cancellare, o almeno cambiare, questa immagine. Il mondo del calcio, come quello dello spettacolo, rischia di trasformarsi in un pianeta alieno e allora si deve restare saldi, mantenersi dentro la vita vera invece di smarginare. Con mio marito ci proviamo, cercando di essere prima di tutto una buona famiglia e dei buoni genitori per i nostri tre bambini, Lorenzo, Matteo e Matilda. La porta di casa è sempre aperta, e mi auguro anche noi”.
Adesso che farete?
“Ho un sacco di idee in testa, organizzeremo altre cose, un privilegio va messo a frutto. L’esperienza mi ha insegnato tanto e ho capito dove devo stare”.