Il difensore del Chelsea ex Napoli Kalidou Koulibaly, alla vigilia del mondiale in Qatar dove sarà protagonista con il Senegal, ha scritto una lunga lettera che vi proponiamo in versione integrale.
“Nei quartieri degli immigrati in Francia, ci sono davvero due Mondiali che si svolgono contemporaneamente. C’è il Mondiale in tv, e poi c’è quello che si gioca per strada con gli amici. In TV ci sono la squadra senegalese, la squadra turca, la squadra tunisina, la squadra algerina. E poi c’è la squadra senegalese di quartiere, la squadra tunisina di quartiere, e così via. Durante un’estate normale, il quartiere è un bellissimo mix di culture, lingue e amicizia. Se sei l’unico abbastanza fortunato da avere una PlayStation, diventa la “Playstation di quartiere”. Se vai al parco e tutte le madri sono sedute sull’erba a mangiare il gelato, non vai a dare un bacio solo alla madre del tuo amico, le baci tutte in fila.
Ognuno è diverso, quindi tutti sono uguali: capite? Non solo ogni quattro anno per i Mondiali, la tua bandiera la rappresenti ogni giorno. Anche quando si giocava in strada stavi giocando per il paese dei tuoi genitori o dei tuoi nonni come se fossi stato davvero convocato in prima squadra. E se succede che il Senegal gioca davvero contro la Turchia nei quarti di finale di un Mondiale, come nell’estate del 2002? Anticipi la partita e fai il “gioco prima del gioco”, come se decidesse la vita reale. Anche se giochi a cinque dietro la tua scuola, è Turchia contro Senegal. Decide letteralmente il destino.
Ricordo che disputammo questa partita con i miei amici prima dei quarti di finale. Perdemmo contro i turchi e sembrava fosse morto qualcuno. Litigavamo tra di noi per aver commesso degli errori, trattenevamo le lacrime, ci accasciavamo a terra. Nel nostro mondo, un gruppo di bambini di 11 anni a Saint-Dié-des-Vosges aveva deluso l’intera nazione del Senegal.
Potreste pensare che stia esagerando, ma non è così. Il Mondiale è qualcosa di diverso. L’altro giorno un mio amico mi ha ricordato che eravamo così ansiosi che il Senegal vincesse i quarti di finale che abbiamo persino provato a fare qualche “magia” prima della partita. Abbiamo ricevuto una grande bandiera del Senegal da qualcuno e l’abbiamo messa sul tavolo della preghiera e ci siamo inchinati davanti a Dio per supplicarlo di aiutare i Leoni di Teranga a sconfiggere la Turchia. Dio ha ricevuto molte di queste preghiere quel giorno, ne sono certo.
Ovviamente tutti sanno cosa è successo. Il Senegal ha perso al golden goal e abbiamo pianto tutti. Ma dico sempre alla gente che la cosa straordinaria del mio quartiere è stata che dopo che le nostre lacrime si sono asciugate, eravamo davvero felici per i nostri amici. Uno dei miei migliori amici si chiamava Gokhan, e i suoi genitori mi davano da mangiare proprio come i miei genitori davano da mangiare a lui. A casa sua ho mangiato kebab. Nel mio ha mangiato il mafé de poulet. Quindi, una volta eliminato il Senegal, ho tifato con il cuore per la Turchia.
A volte le persone mi chiedono perché ho scelto di giocare per il Senegal invece che per la Francia. “Kouli, se avessi scelto la Francia, saresti potuto diventare un campione del mondo”. Forse, ma io credo nel destino. Dico sempre che sono il frutto di due culture: quella francese e quella senegalese. Sono molto orgoglioso di essere francese. Ma per me rappresentare il Senegal è stato deciso da un piano di Dio. C’è qualcosa dentro di me dal 2002 che mi spinge verso quel destino. Ricordo quando Aliou ha rilevato la squadra nel 2015, mi ha chiamato e mi ha detto: “Kouli, stiamo entrando in un nuovo ciclo e abbiamo bisogno di te. Devi venire con noi”.
Ha rischiato su un 24enne che faceva ancora panchina per il Napoli. Ha creduto in me. Quindi ho dovuto credere nel Senegal. Quando ho chiamato i miei genitori per informare loro della mia decisione, è stata l’unica volta nella mia vita che li ho visti entusiasti del calcio. Normalmente si comportano come se stessi ancora giocando nel cortile della scuola. Ma quando ho chiamato mio padre su FaceTime e gli ho detto che avrei rappresentato il Senegal, ho visto la luce nei suoi occhi, negli occhi di un uomo che ha lavorato senza sosta come operaio specializzato in una segheria – sette giorni su sette per cinque anni – per poter dare una vita migliore ai suoi figli in Francia. Ci vuole molto per entusiasmare il Boss. Ma quel giorno i suoi occhi brillavano. Rappresentare il mio paese non riguarda solo una partita di calcio. Riguarda il mio sangue, la mia storia e i sogni dei miei genitori.
Per me, questo è ciò che significa essere senegalesi. Rispetti la storia e i più anziani. Non so come facciano nelle altre nazionali, ma ogni volta che c’è una decisione difficile, raduno il consiglio di Iddi, Sadio, Édouard e Cheikhou. Abbiamo vissuto tutto insieme in questi ultimi anni: le emozioni belle e quelle brutte. Ecco perché dico che la finale Coppa d’Africa non è stata un gioco. Sono stati 20 anni di storia. Generazioni di persone sognavano che il Senegal sollevasse un trofeo, ed era sempre finita con una delusione. C’era una pressione immensa, sì. Ma sentivo che era destino. Lo sapevo nei primi cinque minuti di gara, anche dopo il rigore parato a Mané. So che suona strano, ma non era il fatto che contava. È stato il modo in cui ha reagito Sadio. Non si è sentito sconfitto. Ha immediatamente alzato le braccia in aria verso tutti noi, vidi il fuoco nei suoi occhi. Sadio è pura spiritualità. Il suo carisma è qualcosa di speciale. Quando ti guarda, sembra che riesca a vedere dentro di te e capisca cosa provi. Dal punto di vista sportivo è un fuoriclasse. Ma soprattutto è un amico, un fratello, nel senso più autentico del termine.
Sapevo che due ore dopo si sarebbe fatto avanti per tirare il rigore finale ai penalty decisivi e che avrebbe segnato. I grandi non sbagliano due volte. Se tornate indietro e guardate il video prima che Sadio calci il pallone, potete vedere quanto sono fiducioso. Siamo in nove nel cerchio centrale ad aspettare che lo calci. Vedi otto ragazzi in ginocchio, con le mani tese, che pregano Dio, e poi ci sono io, in piedi completamente immobile, come se stessi rilassando. Sapevo che avrebbe segnato. Senza dubbio. Stavo solo aspettando che la palla colpisse la rete. L’ha colpita perfettamente. Poum. Eravamo campioni d’Africa. Siamo partiti tutti correndo. La sensazione più dolce del mondo.
Ricordo di essere stato chiamato a salire sul podio per ottenere il trofeo dal presidente FIFA Infantino e, a causa delle norme COVID, i miei compagni di squadra non potevano salire. C’ero solo io, e voleva che sollevassi il trofeo con le telecamere. Fortunatamente avendo giocato a Napoli, che è diventata davvero casa mia, parlo un italiano fluente. Dissi al signor Infantino in italiano: “No, no, per favore, mi lasci andare a sollevare il trofeo con i miei compagni di squadra sul campo”. Accettò. Ricordo anche che, all’inizio, provai a darlo ad Aliou perché lo sollevasse, perché è stato lui a iniziare questo viaggio 20 anni fa. Ma disse subito: “No, sono felice di guardare. Alzalo tu”. Quando abbiamo sollevato in aria il trofeo, è stata una delle più grandi sensazioni della mia vita.
Quanti bambini avevano la bandiera sul tavolo della preghiera, implorando che quel momento si realizzasse? Pensi a cose del genere quando sei sull’aereo per tornare a casa, riportando il trofeo in Senegal. Ma quando sei nella bolla, non puoi immaginare quante persone hai toccato. Basta vedere le foto e i messaggi sui social: cosa significa per il Paese? È solo un gioco, dopotutto. Ma quando atterrammo a Dakar, vedemmo cosa significava. E’ indrescrivibile.
Non potete immaginare come sia stato quel giorno. I ricchi, i poveri, quelli di diversi schieramenti politici sono stati tutti riuniti quel giorno. È stato un momento di pura gioia per milioni di persone. Sì, alcune persone potrebbero dire “è solo la Coppa d’Africa” ma non sanno nulla. Per me è ancora più significativo che vincere una Coppa del Mondo con la Francia, la Germania o il Brasile. Quando la tua storia questa, l’emozione è molto diversa.
Come ci ricorda Aliou, ogni volta che indossiamo la maglia del Senegal, non stiamo solo giocando. Siamo ambasciatori di un paese magnifico, un paese di cui molte persone non conoscono abbastanza. In questa Coppa del Mondo vogliamo creare il nostro “momento 2002″ per una nuova generazione di ragazzi, non solo in Senegal ma per i senegalesi di tutto il mondo”.