L’episodio del rigore non assegnato al Torino nella sfida con l’Inter ha riaperto il caso del rapporto tra gli arbitri e la VAR. Un rapporto che solo in Italia è più di odio che di amore.
Gli errori arbitrali di certo condizionano una singola partita e di conseguenza l’intero campionato.
Però è difficile quantificare quanto possa costare in punti per ogni singola squadra un errore arbitrale per tre motivi:
- non è vero che a fine campionato gli errori si compensano. Hanno una valenza diversa da partita a partita, in base al momento storico del campionato e nell’ambito di una stessa partita;
- un rigore assegnato o negato non è sinonimo di gol;
- anche nel caso in cui il rigore negato fosse stato assegnato e realizzato, non sarebbe sinonimo di risultato certo visto che resterebbero ancora dei minuti da giocare.
Più problematico è il rapporto tra gli arbitri e la VAR.
Almeno in Italia la sensazione è che gli arbitri vedano nella VAR un pericolo per il loro potere decisionale e la loro discrezionalità in campo, oltre a considerarla come un mezzo che evidenzia un loro errore.
Diversa invece la considerazione che hanno della VAR gli arbitri all’estero.
Ad esempio nel 2018 nella gara di Bundesliga Magonza-Friburgo l’arbitro fischia la fine del primo tempo ma, mentre le squadre si erano già avviate verso gli spogliatoi, l’addetto alla VAR dalla sala unica di Colonia richiama l’attenzione dell’arbitro in campo per un rigore non visto nei secondi finali di gara. Questo dimostra il rispetto che c’è per il mezzo tecnologico, anche se in questo esempio specifico non è stato rispettato il protocollo VAR che non consente a un arbitro di rivedere una propria decisione una volta abbandonato il terreno di gioco.
Il mezzo tecnologico, se utilizzato nel modo giusto come avviene all’estero, sarebbe in grado di correggere oltre il 90% degli errori arbitrali.
La VAR aiuterebbe il calcio ad essere più credibile e soprattutto il calcio italiano ha bisogno di una forte iniezione di credibilità.