LA CESSIONE DEL MARCHIO
Il calcio italiano, verso la metà degli anni duemila, per uscire da una crisi finanziaria legata all’intervento dell’Ue, che aveva imposto una riduzione da 10 a 5 per realizzare svalutazioni ed ammortamenti, in base alla legge spalma debiti del 2003, per arginare la fine dell’epoca d’oro delle super plusvalenze, introdusse, per regolarizzare i bilanci, il fenomeno della cessione del marchio. Tale fenomeno ha finanziato operazioni il cui valore contabile ha superato i 600 milioni di euro. In principio, la formula classica era la vendita ed il riaffitto del marchio, ma oggi, si preferisce la creazione di una nuova società a cui conferire il ramo d’azienda legato allo sfruttamento del brand. Analizziamo, con maggiore attenzione le varie tipologie adottate:
La formula “classica”. Nel modello tradizionale, in pratica, il brand viene venduto a una società collegata al club calcistico, il quale incassa un certo corrispettivo subito, in modo da poter aggiustare i conti e “riaffitta” contestualmente il marchio dalla società per poterlo sfruttare commercialmente, pagando un canone periodico. I soldi che la società collegata versa al club calcistico per comprare il marchio vengono di solito da un prestito bancario. La società cessionaria del marchio quindi si trova a pagare a sua volta ogni anno alla banca le rate per estinguere il prestito (quota capitale più gli interessi che sono leggermente più bassi del canone di locazione versato dal club calcistico). In definitiva, il giro di denaro non è altro che un prestito bancario “mascherato” che consente al club calcistico in difficoltà di incassare subito una somma importante, spalmando il rosso in più esercizi attraverso il riaffitto del suo brand.
Nel corso del tempo, molte società italiane hanno adottato queste forme di “finanza”, il Milan, per esempio, ha concluso un trasferimento parziale del proprio marchio a Milan Entertainment srl, nel settembre del 2005 per circa 180 milioni. A dicembre 2005, invece, l’Inter, ha scorporato il marchio, cedendolo a una società controllata, la Inter Brand Srl, per 158 milioni. A finanziare l’operazione, con 120 milioni, è stata la Banca Antonveneta. A giugno 2005, è stata la volta di Reggina e Brescia, che rispettivamente per 10 e 20 milioni, hanno ceduto i marchi a Reggina Service srl e Brescia Service srl. A luglio 2005, la Sampdoria ha trasferito per 25 milioni il marchio a Selmabipienne. La Lazio, invece, ha venduto il marchio per 95 milioni a Lazio Marketing & Communication spa, nel settembre 2006. Qualche mese dopo, la Roma ha ceduto alla Soccer sas il ramo d’azienda dedicato a merchandising e marketing per 125 milioni. Da ultimo ci ha pensato l’Hellas Verona, che ha ceduto nel 2013, le attività di valorizzazione e commercializzazione del marchio “Verona”, alla società correlata “Hellas Verona Marketing & Communication Srl. Tutte queste operazioni, rappresentano dei meccanismi contabili border line che sono stati e sono tutt’ora sottoposti ad attenta analisi da parte della Covisoc, l’ente di controllo dei conti delle squadre di calcio, la quale, dopo aver sollevato obiezioni sulla fattibilità di queste operazioni, ha ritenuto di poterle considerare legittime a patto che la valutazione del brand fosse basata su perizie autorevoli. La stessa Agenzia delle Entrate, dopo attenta analisi, ha escluso forme si elusione, sempre che ci sia la prova dell’effettiva redditività dell’operazione.
Tra i casi più recenti, vale la pena menzionare quello del Siena calcio, che dopo la caduta in serie B, ha dovuto fronteggiare anche la rinuncia, da parte del Monte dei Paschi di Siena, alla tradizionale sponsorizzazione per circa 8 milioni di euro. Nel 2012 il Mps, ha finanziato una operazione da 25 milioni relativa alla cessione di un ramo d’azienda dall’A.c. Siena, il club che fa capo alla famiglia Mezzaroma, ad una srl, la B&W communication. A questa società, costituita il 12 ottobre 2011, sono stati ceduti i marchi A.C. Siena ed A.C. Siena Robur 1904, brand che avevano un valore contabile di 14.826 euro e il cui trasferimento ha generato una plusvalenza di 25.085.174 euro. La vendita è stata stipulata il 29 dicembre 2011 e “sospesa” in attesa che la B&W communication trovasse un finanziamento, giunto, dopo le vacanze natalizie, il 9 febbraio 2012 grazie a Mps. A cessione avvenuta, il Siena Calcio ha concordato con la B&W communication una licenza di durata ventennale per poter utilizzare i due marchi sociali: per questa concessione ha pagato alla B&W communication 1,5 milioni nel 2012, e corrisponderà 1,4 milioni quest’anno e un milione all’anno per tutta la durata dell’accordo. Dalle visure camerali le quote della B&W (che dichiara un capitale sociale, dato in pegno a Rocca Salimbeni, di 120mila euro) risultano di proprietà di Davide Buccioni, Fabrizio Sacco e della “Pontina srl 2000”, società a sua volta riconducibile al gruppo Impreme Spa della famiglia Mezzaroma.
Altro esempio recente, come anticipato dal quotidiano Milano Finanza, è quello del Genoa. In questo caso, il Consiglio di amministrazione, ha approvato lo scorso 27 dicembre, un’operazione di spin-off, dalla società di calcio, ad una Newco denominata “Genoa Image Store Museum & Marketing” del ramo d’azienda relativo all’area commerciale legata allo sfruttamento del Brand Genoa con riferimento alle sponsorizzazioni, al marketing, alla pubblicità e al merchandising. Genoa Image Srl, partecipata dall’unico socio (Genoa Cfc), avrà come oggetto sociale lo sviluppo e la commercializzazione del brand del club più antico d’Italia. Il valore del ramo d’azienda conferito nella nuova società è stato stimato in 23,4 milioni. Quindi in questo caso non si è avuta una cessione più il riaffitto del marchio, secondo lo schema tradizionale, ma un conferimento del ramo d’azienda in una nuova società che fa capo al Genoa. Questo significa che i benefici contabili dell’operazione relativi alla plusvalenza realizzata non si vedranno nel conto economico, bensì nello stato patrimoniale: all’attivo avremo l’emersione di una partecipazione di 23,4 milioni che andrà a rafforzare il patrimonio netto ed al passivo una riserva di analoga entità. In questo modo, peraltro, fiscalmente si tratta di un’operazione neutrale su cui non andranno versate imposte.
Tutto questo in nome della correttezza e dei più sani valori sportivi.
E pensare che ci sono ancora società che lottano su tutti i fronti, con bilanci in utile, conti sani, ma le cui proprietà sono contestate…….ma!