Il calcio italiano può contare su di un bacino d’utenza di circa 4.4 milioni di tifosi, tale dato da solo già fa intuire quale potrebbe essere il risultato a livello di giro d’affari se, come ipotizzato nell’ultima riunione di lega, la stessa, creasse un suo canale tv. Quella dei diritti tv è quindi una partita poco regolamentare e soprattutto ricca di colpi proibiti, nella quale i protagonisti sono, la Lega, la MPSilva, che gestisce i diritti esteri del campionato Tim, Infront, Mediaset e Sky.Gli scenari sono da spy story; il titolare dei diritti per l’estero, la MPSilva, dopo diversi comunicati e smentite, nonostante le promesse, non permette di visionare i contratti conclusi in giro per il mondo perché, venduti in pacchetti insieme ad altri campionati e sport, rendendo, così, impossibile quantificare il valore. Non è quindi possibile sapere quanto guadagna, all’estero, dal campionato italiano la MPSilva, cioè la società guidata dal uomo venuto da Milan Channel, di cui è stato manager e proprietario. La Infront, l’advisor, la società che dovrebbe supervisionare, commercializzare e garantire la vendita di tali diritti per la Lega, ha come referente per l’Italia, Marco Bogarelli, socio di Silva e uomo di fiducia di Galliani.Sembrerebbe, che ci siano stati contatti, negli ultimi giorni, tra la Infront e Mediaset per lavorare ad un ipotesi di creazione di un canale della Lega, che escluderebbe Sky, che per il campionato in corso ha sborsato 561 milioni di euro per 380 partite e che attraverso il suo AD Zappia, continua a sostenere l’importanza della vendita in esclusiva dei diritti, che consentirebbe di mantenere gli attuali livelli, pari a circa un miliardo per il solo mercato interno. In questa situazione di grande fermento e di scarsa chiarezza, la Lega, deve anche fronteggiare la battaglia interna tra i clubs, relativa alla suddivisione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti televisivi. Oggi il sistema della lega prevede per la Serie A che il valore netto dei diritti (le REN) vengano divisi fra le squadre secondo i criterio:
•40% in parti uguali;
•30% sulla base del bacino d’utenza (25% sulla base dei sostenitori e 5% sulla base della popolazione residente nel Comune in cui gioca la squadra);
•30% sulla base dei risultati ottenuti dalla squadra (5% sulla base dei risultati della stagione, 15% sulla base dei risultati del quinquennio precedente, 10% sulla base dei risultati storici dal 1946/47).
Volendo confrontare il sistema Italiano con quello Inglese, si può evidenziare come in Premier League, si distingua fra i ricavi nazionali e quelli esteri, e si provveda a dividerli in maniera diversa:
La quota nazionale (il 61% del totale) è divisa come segue:
* il 50% in parti uguali;
* il 25% a seconda del numero di volte che un Club viene trasmesso live;
* il 25% a seconda della classifica dell’anno.
La quota estera (il 39% del totale) è ripartita in parti uguali.
Il risultato è che la quota complessiva di diritti che vengono attribuiti in maniera uguale ad ogni squadra della Premier League è complessivamente pari al 70% del totale. La preponderanza del criterio “solidale” in Premier League è apprezzabile immediatamente da questa tabella di confronto relativo alla ripartizione per l’anno 2012/2013:
Risulta interessante verificare come cambierebbe la distribuzione dei diritti TV in Serie A se anche noi adottassimo il criterio della Premier League. Per farlo dobbiamo innanzi tutto suddividere il monte ricavi (le REN) fra quota nazionale ed internazionale: la prima pesa per 834 milioni di Euro, la seconda per 116 milioni di Euro (con beneficio di inventario).La quota nazionale viene quindi suddivisa come abbiamo precedentemente descritto:
il 50% in parti uguali, il 25% sulla base delle presenze TV ed il 25% sulla base della classifica dell’anno precedente. Nel nostro caso, poiché l’utilizzo del criterio dei passaggi televisivi live non è applicabile all’Italia (tutte le partite sono in diretta) si è ipotizzata una media ponderata fra una ripartizione in parti uguali (5%) e quella derivante dal numero di supporter.
E’ chiaro che una tale ripartizione produrrebbe delle conseguenze molto importanti sull’assetto della Serie A, oltre a mettere in seria difficoltà il rispetto dei criteri del Financial Fair Play, che già in questo momento sono un problema.