Khvicha Kvaratskhelia si è raccontato in occasione di un documentario apparso sui social sul canale Crocobet a lui dedicato.
I tifosi del Napoli mi incoraggiano molto. Le persone vogliono foto, autografi, mi dicono cose affettuose. E’ una grande responsabilità per me ricevere così tanto amore. Sento di doverlo restituire allo stadio. Faccio di tutto per renderli felici. Città? Ci cammino raramente, non ci vado quasi mai. Le persone sono innamorate del calcio in generale. La prima cosa che ho notato quando sono arrivato è che qui si vive di calcio, tutti, non importa l’età o il sesso, tutti sanno tutto.
Lingua? Ho pochissimo tempo per imparare l’italiano, dopo l’allenamento non ho la forza, ma sto andando da una brava insegnante. So dire ‘grazie e bene, tu?’
Routine? Mi alzo alle 8, ci mettono 15 minuti per arrivare al campo. Faccio colazione e poi mi alleno”. (l’intervista è stata fatta prima della rapina all’auto, ora Kvara non vive più a Cuma).
I commenti non li leggo, potrebbero influenzarmi, tendo a essere grato a chi mi supporta. Uso invece i commenti negativi come motivazione a fare meglio dimostrando in campo quel che posso. Se qualcosa non funziona, rimango da solo e discuto con me stesso per capire dove ho sbagliato. Uso questa rabbia durante l’allenamento per migliorare.
Spalletti? E’ una persona interessante e positiva, sto imparando tanto da lui, è un allenatore fantastico. Imparo molto anche dai compagni, sono tutti molto forti. Siamo una grande famiglia. Giochiamo ogni tre giorni ma quando possiamo usciamo insieme, siamo in buoni rapporti, c’è un’atmosfera positiva nello spogliatoio.
Champions? Non avrei mai pensato di giocarci, sentivo l’inno da bambino, era il mio sogno. Ascoltare l’inno ti dà un’energia che non trovi da nessuna parte. Ho provato queste sensazioni quando ho giocato col Liverpool la prima partita e questo mi ha aiutato molto.
Non ho mai pensato di rinunciare al calcio da piccolo, la mia famiglia e i miei amici mi hanno sempre sostenuto.
Fidanzata? Non la menziono perché è parte della mia famiglia. Ho difficoltà a esprimere le emozioni, tengo tutto dentro. A 17 anni sono andato per la prima volta in un altro paese, ora i miei fratelli sono con me, poi ritornano, vanno e vengono”.