Primo Piano

Koulibaly, il gigante umile: simbolo di un calcio pulito

Kalidou Koulibaly ha conquistato tutto, dal calcio italiano al calcio europeo, con umiltà, carattere e combattendo il razzismo con l’integrazione.

 

 

 

E’ il 20 giugno del 1991, a Saint-Dié-des-Vosges in Francia, da un operaio ed una cameriera senegalesi nasce Kalidou Koulibaly. Nello stesso anno, a Napoli, Pino Daniele nella sua “‘O Scarrafone”, canzone contro il razzismo, contro i vaneggiamenti di un partito che stava all’epoca prendendo piede nelle coscienze italiane, urla a gran voce: “Viva viva ‘o Senegal”. Strane le coincidenze. Come se dalla Francia orientale un vento improvviso avesse soffiato il suo fiato fino al Vesuvio ed ai vicoli che, alla sua ombra, hanno sempre vissuto di un legame particolare con tutti i popoli della Terra, specialmente chi è abituato a passare attraverso le avversità di quel fenomeno che, ancora oggi, flagella i napoletani: il razzismo.

Ovvio, Pino non aveva idea che 23 anni dopo Kalidou sarebbe sbarcato a Napoli. E sicuramente il parallelo tra un indimenticabile (ed indimenticato) pezzo del Genio della musica partenopea potrà sembrare forzato. Eppure, passare dal Nero a metà per eccellenza all’Oro Nero di “K2” pare semplice. Contro il razzismo (anche) cantò Pino, nella speranza che la musica levasse qualche pacchero dalla faccia dei napoletani. Gli stessi che Koulibaly, in una fredda notte torinese, ha tolto da quelle dei tifosi azzurri staccando in cielo e colpendo di testa il pallone per un gol che ha messo paura alla Juventus. Ancora, parallelo forzato, eppure così semplice nel suo dinamismo.

Koulibaly è arrivato a Napoli nel luglio del 2014, spostando gli equilibri un po’ di tutto. Del calcio, sempre abituato a celebrare le imprese dei fantasisti e degli attaccanti, ora calamitato dalle gesta del gigante d’ebano. Del campionato, donando ad una squadra che nell’offensività del Sarrismo necessitava come il pane di un muro davanti alla porta per essere competitiva fino alla fine. D’Europa, perché se non bastasse la prodezza nell’ultima di Champions su Mbappe, basterà aspettare quest’estate per scoprire quanto saranno disposte a spendere le varie Barcellona, Real Madrid, Manchester City per accaparrarsi le sue prestazioni. Come ha fatto? Com’è possibile che un ragazzo che era stato scartato dall’accademia del Metz da bambino, sia diventato uno dei difensori più forti al mondo?

Troppo semplice parlare di quanto le sue caratteristiche fisiche e tecniche abbiano inciso sulla sua crescita. Non fosse altro perché sono lampanti, sotto gli occhi di tutti: velocità, presenza, scelta di tempo, stacco di testa, versatilità, capacità di lettura, addirittura piedi buoni e visione per rilanciare l’azione. E’ un difensore completo che si è beccato l’investitura di uno dei più grandi di sempre nel suo ruolo, quel Liliam Thuram che ha confessato che Kalidou potrà diventare prefino più forte di lui. Più o meno la stessa cosa che avrà pensato Buffon ieri sera, quando l’ha incontrato al termine della partita, abbracciato, e sussurrato quel “Sei bravo” che sa di incoronazione ufficiale.

No, qui vogliamo accennare all’uomo che sta sotto la maglia numero 26, la stessa che Maradona (Maradona!!!) si fece spedire. L’uomo che, a 27 anni ancora cerca in chi è più saggio di lui un modello per quando “sarà grande” e che, a quanto pare, ha ormai assunto le sembianze di Carlo Ancelotti perché “mi fa pensare che al mondo esistono ancora le brave persone”. Koulibaly è la faccia pulita e sorridente di un calcio che vorremmo vedere ovunque, che ha impostato sulla serietà e sul duro lavoro il segreto del suo successo, sull’accettare i consigli e le critiche da tutti (“E’ sempre stato una spugna”, ha dichiarato il suo ex allenatore al Metz). Che non si è arreso alle prime difficoltà riconquistando lo stesso Metz che l’aveva scartato e che è rimasto umile, tanto umile da attaccare il telefono in faccia a Rafa Benitez, convinto che fosse uno scherzo quando il tecnico spagnolo ha iniziato il suo corteggiamento per portarlo a Napoli. Un uomo sensibile, che prima di volare per l’Italia ha giocato a calcio con i suoi amici d’infanzia, che non dimentica le sue radici e che è perdutamente innamorato di Napoli (“Napoli è la mia famiglia. Saranno lacrime quando andrò via”) e che ha sofferto la solitudine successivamente all’infortunio di Ghoulam, suo amico e compagno di stanza.

Ergere una barriera, quella difensiva che gli è valso il soprannome di K2, per abbatterne altre. Quella del razzismo diventando simbolo del suo ruolo, regalando la sua maglia ad un piccolo tifoso della Lazio quando l’Olimpico gli rovesciava addosso beceri ululati, insistendo perché i figli andassero in scuole italiane perché convinto che “contro il razzismo, l’unione delle culture può essere la soluzione”. Questione di integrazione, questione di umiltà, questione di rispetto. Lo stesso che, per bocca dello stesso Kalidou Koulibaly, “si guadagna sul campo. Se sei generoso, gli altri saranno generosi con te”.

Viva viva ‘o Senegal.

Comments

comments

Ultimi Articoli

To Top