Nell’intervista rilasciata a The Player’s Tribune, Kalidou Koulibaly, difensore del Napoli, ha parlato anche del suo rapporto con Rafa Benitez.
Giocavo al Genk in Belgio e il mio amico Ahmed sarebbe venuto a stare da me per qualche giorno. Stavo aspettando che arrivasse in stazione quando ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto. Risposi in inglese: “Pronto, chi parla?”“Buon giorno, sono Rafa Benitez.”.Gli dissi: “Dai Ahmed, smettila di prendermi in giro. Sono qui ad aspettarti” e attaccai. Mi chiamò di nuovo e iniziai ad arrabbiarmi. Gli dissi: “Dai Ahmed, basta. Sono qui. A che ora arrivi?”.“Pronto? Sono Rafa Benitez”.Attaccai di nuovo il telefono. Poi mi chiamò il mio procuratore e risposi. “Ciao Kouli, come stai? Hai già parlato con Rafa Benitez del Napoli? Ti chiamerà.” Gli risposi: “Cosa? Ma stai scherzando? Credo che mi abbia appena chiamato. Pensavo che fosse il mio amico a farmi uno scherzo!”.Il mio procuratore allora chiamò Rafa per spiegargli cosa che era successo così lui mi richiamò e io risposi come se niente fosse. Gli dissi: “Hello, Rafa! Hello! Bonjour! Hola! Hello!” “Ciao, vuoi che parli in inglese?” “Come preferisce, possiamo parlare nella lingua che vuole.” Alla fine abbiamo parlato in francese. Mi fece mille domande: “Sei fidanzato, ti piace andare a ballare, conosci la città, i giocatori?” Gli risposi: “Allora mister, conosco Hamsik”. A dir la verità non conoscevo veramente i giocatori e non sapevo niente della città ma ovviamente conoscevo Rafa Benitez e tutto quello che mi disse mi fece un’ottima impressione. Dopo la telefonata chiamai subito il mio procuratore e gli dissi: “Fai tutto quello che devi fare. Andiamo a Napoli”. Mancavano solo 48 ore alla fine del mercato di gennaio e il Napoli non riuscì a raggiungere un accordo con il Genk. Ma Rafa mantenne la parola e mi prese quell’estate.
Dopo le visite mediche, Rafa mi portò a pranzo e la prima cosa che fece dopo che ci eravamo seduti, prima ancora che ci portassero i menù, fu di prendere tutti i bicchieri di vino dalle altre tavole. Li mise sul tavolo e li sistemò. Nella mia testa, mi dicevo, ‘Che sta facendo? È pazzo?’. Lui mi disse: “Ok, ora ti faccio vedere la tattica.”
Poi arrivò il cameriere e il mister spostò i bicchieri qua e là dicendo: “Noi giochiamo così. Vai qua, poi vai là, capito? Ora bisogna imparare due cose in fretta. Devi imparare la nostra tattica e devi imparare l’italiano”. “Va bene, mister”.
Quando poi tornai da una breve vacanza Rafa mi chiuse in una stanza con il match analyst e mi fece vedere le mie giocate migliori. Lanci bellissimi, dribbling e interventi in scivolata. Mi disse: “Questo, questo e quest’altro…” “Bello, no?” “Non fare più queste cazzate.” “Ma ho preso la palla!” “Questo è culo! Hai recuperato la palla grazie alla tua forza fisica. Se il tuo avversario fosse stato più intelligente, saresti stato in difficoltà.”
Poi mi fece vedere altre immagini. Niente di che. Azioni normali. Sorrise e disse: “Così. Così va bene. Va benissimo così.” “Mister, ma sono giocate semplici.” “Appunto Kouli”.
Questo la dice lunga sulla mia esperienza qui. Ero un ragazzo quando sono arrivato in Italia. Sono diventato un calciatore migliore perché ho imparato la tattica ad alti livelli. Sono così precisi qui sulla tattica, ma la cosa più importante è che sono diventato un vero uomo di famiglia e un vero napoletano.