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Israele, la Palestina e lo sport: questa sera per l’Italia non è una partita come le altre

La Nazionale italiana gioca il primo match di qualificazione ai mondiali del 2018 in Russia contro Israele. Ma quella contro Israele per nessuna Nazionale è una partita come le altre. La questione socio-politica israeliano-palestinese ha coinvolto anche lo sport.

Nel calcio tutto ha inizio nel 1929 quando Israele come Palestina Football Association (PFA) diventa un membro stabile della FIFA,  si affilia alla Federazione asiatica e partecipa alle qualificazioni mondiali del 1934 e del 1938.

La creazione dello stato ebraico di Israele nel 1948, in contrapposizione a quello arabo della Palestina, ha dato il via a un conflitto che ancora oggi non trova una giusta mediazione di pace, neanche nello sport.
L’indipendenza dello stato d’Israele, sempre nel 1948, ha portato anche alla nascita di una nuova Federazione calcistica, la IFA (Israel Football Association). Iscritta alla Federazione calcistica asiatica, nel 1964 organizza e vince la Coppa d’Asia dopo aver battuto 2-1 in finale la Corea del Sud.

Ma il conflitto sociale tra Israele e Palestina scoppiato dopo la divisione in due Stati separati, nel 1974 ha portato all’esclusione di Israele dalla Federazione asiatica in seguito alle pressioni di tutti gli stati arabi schierati contro la divisione dei Territori e alla colonizzazione israeliana della Palestina. Alternandosi come membro provvisorio tra la Federazione dell’Oceania e l’UEFA, Israele nel 1992, pur essendo una Nazione asiatica, fa il suo ingresso come membro associato dell’UEFA e  le squadre di club israeliane iniziano a partecipare alle coppe europee. Nel 1994 la nomina a membro definitivo dell’UEFA sembrava essere l’inizio di una tranquillità sportiva della Federcalcio israeliana.  Ma non è così.

L’ingresso della Palestina come stato membro della FIFA nel 1998, è la scintilla che provoca nuove ritorsioni in ambito sportivo.
Israele contesta alla FIFA il riconoscimento di un territorio nemico mai riconosciuto come Stato che gli israeliani hanno fatto di tutto per isolare dal resto del mondo sportivo.
La Palestina invece contesta alla FIFA di non aver mai preso seri provvedimenti contro le restrizioni messe in atto da Israele per boicottare lo sport palestinese.

La Palestina ha più volte denunciato alla FIFA gli ingiustificati bombardamenti da parte di Israele a stadi e altre strutture sportive e l’impossibilità di ricostruirli con i finanziamenti della stessa FIFA. Inoltre secondo la Palestina Israele nega continuamente a giocatori e funzionari i visti di uscita dai Territori impedendo loro di partecipare alle competizioni sportive, come accaduto ai mondiali del 2010 in Sudafrica. Il boicottaggio di Israele allo sport palestinese passa anche per il blocco alla frontiera di attrezzature a abbigliamento sportivo necessari per praticare un qualunque sport professionistico. L’ultimo episodio si è verificato alle Olimpiadi di Rio 2016, dove i sei atleti palestinesi hanno visto bloccati alla frontiera con Israele la bandiera, le divise per la sfilata e gli indumenti di allenamento e di gara.

La Palestina ha presentato alla FIFA una richiesta ufficiale di esclusione della Federcalcio israeliana, accusandola di razzismo verso gli atleti palestinesi e musulmani nel campionato di calcio israeliano e di impedire la normale attività sportiva, dei cinque club calcistici che rappresentano i territori palestinesi occupati dagli insediamenti israeliani. Segnali anti israeliani sono arrivati anche da nazioni arabe terze. I calciatori della Nazionale algerina ad esempio, hanno donato i premi per la partecipazione al mondiale del 2014 in Brasile ai bambini dei “fratelli palestinesi” della striscia di Gaza.

Anche Israele conta le sue vittime sportive per azioni terroristiche palestinesi. L’episodio più drammatico è la strage alle Olimpiadi disputate a Monaco di Baviera nel 1972 in Germania (all’epoca ancora dell’Ovest)
In quell’edizione delle Olimpiadi un commando di terroristi palestinesi dell’organizzazione “Settembre nero” ha fatto irruzione nella palazzina del villaggio olimpico dove erano alloggiati gli atleti israeliani. Tra esecuzioni sul posto, fughe con ostaggi e richieste di scarcerazione di detenuti palestinesi, il bilancio finale di quel triste episodio è di 18 morti: 1 pilota di elicottero, 5 terroristi, 1 poliziotto tedesco, 11 componenti della delegazione olimpica israeliana (1 allenatore e 10 atleti).

Per tutto questo quando si gioca una partita in Israele c’è sempre l’ombra lunga del conflitto con la Palestina. L’imbarazzo della vigilia svanisce nel momento in cui si scende in campo, per poi tornare subito dopo la partita. Un imbarazzo che nasce davanti all’impotenza dello sport, costretto a scontrarsi con la politica, la guerra, il razzismo, i muri che dividono e non sempre esce vincitore. Nel caso di Israele e Palestina purtroppo è ancora perdente.

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