Ibitinga, Brasile. Tutto inizia qui per Inacio Pià.
Il volo a Bergamo a quindici anni, poi su e giù per l’Italia e per le categorie con entusiasmo invariato, anche ora: lo senti da come ride al telefono. Ora che è a Taranto: piazza nobile, calda e che vuol tornare quella vera. E Inacio lì, a provarlo. Con nuovi stimoli ed i colpi di sempre. Appagamento? Non per lui, che ha ancora dentro i primi giorni del settore giovanile dell’Atalanta: “Un sogno, chiaro, cullato fin da bambino: perchè quello italiano era il campionato più ambito da tutti. Grandi campioni, ed io che volevo diventare come loro”.
Allora Zingonia, non esattamente il Sud America… “Dalle mie parti quando fa freddo ci son trenta gradi, là venticinque quando è caldo. Sì un impatto difficile anche a livello culturale. Ma ne è valsa la pena: lo penso sempre quando guardo mia moglie e miei due figli ad esempio”. In nerazzurro il debutto in Serie A e Vavassori nel cuore: “Da fuori il Vava può sembrare un duro, ma in realtà è un pezzo di pane. Anzi, pane e salame”. Ascoli poi, ma la grande avventura si chiama Napoli: “Sì proprio un’avventura scendere in Serie C. Ma al San Paolo e con quella maglia: una piazza unica. Vincere a Napoli non è come farlo altrove…”.
Tant’è: Serie C, Serie B, Serie A e Coppa Uefa. Timbrando peraltro sempre. Roba da record. E ricordi da incorniciare, come fare gli stessi gol di un certo Lavezzi: “Un grande, disponibile, di cuore. Quasi inutile aggiungere che è un fuoriclasse. Talmente evidente no?”. Per Pià anche Treviso, Catania e Torino. L’incubo? Vargas: “Una forza della natura, non riuscivi a saltarlo. Come si poteva? Completo, un mostro: giocava a Catania ma sembrava indossasse la maglia del Real Madrid”. Portogruaro, Pergocrema (“Dove ho pututo giocare con mio fratello. E una decina di gol li ho fatti, anche…”), Lecce. E qualche rammarico su cui ragionare a freddo: “Quando hai venticinque anni pensi di poter spaccare il mondo. E quando non giochi non capisci, te la prendi con l’allenatore, col direttore sportivo. Ma perchè devo stare fuori? Solo col tempo ho imparato ad affrontare queste situazioni”.
Acqua sul fuoco allora, calma e sacrifici: “Donadoni me lo diceva sempre. Vita da atleta e a letto presto. Concetti che tutti conoscono, ma se ripetuti e da un professionista come lui prendono un’aria diversa”. Passato, ora Taranto, dopo un’estate (e non solo) di trattative. “Potevo andare in India ed in Portogallo. Contatti andati per le lunghe, indecisioni anche mie. E alla fine Montervino… Un fratello per me. A Napoli in camera insieme. Un matto, anche: dopo gli allenamenti si nascondeva nella cesta dei panni sporchi, e quando passava qualcuno saltava fuori”.
Dunque Taranto, dove Montervino è responsabile dell’area tecnica: lui, tarantino doc, per il nuovo corso del presidente Campitiello. Favo in panchina, ad Ancona proprio con Montervino ed anch’egli passato da Napoli: scelte mirate, non solo nomi. Proprio come Pià. Per una piazza che ha fame di calcio vero e che chiede di tornare sui giusti palcoscenici. E il Taranto risponde: radunatosi in fretta e furia il 4 agosto, l’11 già in Tim Cup col Venezia. In campionato? Imbattuto, ma ad inseguire la prima vittoria in casa. E domenica all’Erasmo Iacovone arriva la Scafatese. Pronto Inacio?
“Martedì sono arrivato e mercoledì subito doppia seduta. Mi sembra di essere qui da due o tre anni, non giorni. Un ambiente che non c’entra nulla con questa categoria, ma merita un’altra dimensione. Dovremo dimostrarlo anche sul campo, io sono pronto. Mi sono tenuto in allenamento e se mi buttano dentro non mollo un centimetro. Ho l’entusiasmo di un ragazzino, anche se la carta d’identità…”. Dice classe 1982. Mica 1962. Non una figurina, nemmeno qui a svernare. Taranto ha fame di calcio vero. E Pià… ancora. Eccome.
Fonte: Luca Mignani, GianlucaDiMarzio.com