Pubblichiamo con piacere lo straordinario ricordo del primo scudetto del Napoli scritto dal collega Bruno Marra.
Quel giorno ce ne andammo sull’ultimo anello della Curva B, perché per una volta volevamo goderci lo spettacolo dal punto più alto possibile. Sospesi tra terra e cielo. Avevamo 16 anni, io e i miei tre amici di sempre.
Per mesi avevamo visto i nostri padri, i nostri zii, quelli che chiamano vecchi, preoccupati, diffidenti, disillusi. Erano troppo scottati. Ed ogni volta che quel Napoli aveva un colpo di tosse si ammalavano e li sentivamo strepitare: “Io lo sapevo, mo’ ‘o perdimmo nata vota, nun vincimm mai int’a ‘sta città”. Ma nell’ultima settimana erano guariti: si abbracciavano, cantavano, piangevano. I vecchi erano diventati più giovani di noi.
Quel giorno neppure lo sapevamo che era il 10 maggio, lo capimmo dopo. Tutti dicevano che ci bastava il pareggio, ma a noi non ce ne fregava niente. Sapevamo solo che era l’ultima giornata nella nostra casa e ci sembrava impossibile che tutto finisse lì. Il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì e il venerdì di soffocante emozione. Le notti del sabato in adorazione, che erano ancora più belle della domenica di sublime splendore.
Poi su di noi scese lo striscione infinito, che là sotto non si respirava. Due ore dopo arrivò dall’alto una Luce mai vista prima. E tutti urlarono come in un Miracolo. Quel giorno non vincemmo solo lo scudetto. Conoscemmo la carezza struggente e la lusinga straziante della Felicità.
Bruno Marra