Nell’edizione odierna de ‘Il Mattino’ ha parlato il professore Nicola Rascio.
«Una doccia gelata. E anche spavento. Perché era come mettere la Ferrari nelle mani di uno che non ha la patente».
Il giorno in cui arrivò quella telefonata allo studio in via Monteoliveto. «Era il presidente della Fallimentare, Frallicciardi. Mi affidava l’incarico di curatore fallimentare. Per il Calcio Napoli. Ed era la prima volta che affrontavo questo lavoro».
Come la prese?
«Insomma… Avevo seguito la squadra fino all’inizio della crisi tecnica e societaria, culminata appunto nel fallimento. C’era la preoccupazione di non essere all’altezza e di commettere qualche errore in una vicenda che appassionava la città intera. Le pressioni ambientali erano forti. Accettai per senso del dovere e lasciai la famiglia a Palinuro, immergendomi in questa esperienza professionale con Alfredo Contieri e Francesco Fimmanò».
Il più interessato al titolo era Luciano Gaucci, il patron del Perugia.
«Sembrava il cavaliere venuto a salvare la patria, il progetto Napoli girava intorno a lui. Per fortuna, naufragò il suo piano: non aveva la disponibilità per affrontare questa operazione. Davanti alla curatela si presentò con assegni bancari, con una provvista non verificata: ci portò a vedere, quale garanzia, le foto di un castello in Umbria… Il folclore era una cosa, l’aspetto imprenditoriale un’altra».
E iniziarono così altre trattative.
«Gli avvocati di Pozzo, il proprietario dell’Udinese, si presentarono nel mio studio. Vi era l’interessamento del costruttore napoletano De Luca, presidente del Siena. E poi alcune cordate. Finché non mi telefonò il giudice delegato Celentano».
Che le disse?
«”Forse c’è chi può salvare la situazione”. Si erano fatti avanti, con assegni circolari da 32,5 milioni, gli avvocati di De Laurentiis. E con una proposta per rilevare il titolo della Ssc Napoli lui sbaragliò la concorrenza».
Il primo colloquio con il futuro presidente?
«Ricordo la data, 27 agosto, ero in clinica accanto a mia moglie che stava per partorire. De Laurentiis mi telefonò perché voleva chiudere la trattativa e far partire la stagione calcistica. Proponeva un appuntamento con i giudici della Fallimentare in barca, al largo di Capri. Ma era fuori dalle regole. Ci vedemmo in tribunale, dove lui arrivò con una decina di professionisti: avvocati, commercialisti, notai… Entrò un pulmino a Castel Capuano».
Trattativa agevole?
«Lunga e concitata, perché De Laurentiis non voleva – diciamo così – rogne. L’importo venne un po’ abbassato, prevedendo un’integrazione in caso di passaggio dalla serie C alla serie B, attraverso ripescaggio o promozione. E infatti nel 2006 furono versati altri 2,5 milioni».
Sono passati quasi 19 anni da quella tormentata estate a Castel Capuano e il Napoli sta per vincere lo scudetto.
«Da tempo sono tornato ad appassionarmi al calcio grazie ai successi e al bel gioco del Napoli. La scelta fatta allora dal tribunale e dalla curatela si è rivelata giusta perché ancor prima dei risultati della squadra vi sono stati quelli del club, che ha avuto sempre i bilanci a posto: un cambiamento epocale rispetto a quella che era la situazione pre-fallimento. E l’assegnazione del titolo a De Laurentiis rappresentò il primo tassello per questa svolta. Ci volle tanto impegno in quei delicati giorni, non soltanto conoscenza della materia ma anche capacità diplomatica e furbizia. C’era una città in ansia, lo avvertivamo dalla presenza dei tifosi all’esterno del tribunale e dall’attenzione del governatore Bassolino e del sindaco Russo Iervolino».
Ha più parlato con De Laurentiis?
«Anni fa, quando sembrò interessato al centro di Marianella ma non se ne fece niente. Lo abbiamo poi ceduto per circa 2 milioni. La nostra attività si concluderà quando saranno terminate tutte le cause. Ne abbiamo appena vinta una nei confronti dello Sporting Lisbona, che dovrà restituire 1,4 milioni versati dal vecchio Napoli prima del fallimento per il pagamento di Vidigal. Lo ricorda?».