Il Napoli campione d’Italia è morto. Prima era tutti per uno oggi ognuno per sé.
Nel Napoli manca il minimo comune multiplo
L’anno scorso si chiamava Luciano Spalletti e aveva messo la squadra e il lavoro al centro di tutto.
Quando è arrivato Garcia il corpo è stato diviso.
Tante esercitazioni a sfida per mettere in competizione i calciatori tra di loro.
Strategie diverse.
Lo spirito di gruppo, è andato scemando da allora ma se prevale l’individualismo, in uno sport di squadra, sono guai.
Le prestazioni di uno dipendono da quelle dell’altro e la fiducia è fondamentale.
Occorre fidarsi del compagno a cui si passa la palla e di quello che te la ridà.
Con lui e per lui fai uno scatto o un recupero in più, perché sai che non sarà sprecato.
I risultati negativi hanno assottigliato ancora di più lo spirito di squadra: Le vittorie uniscono le sconfitte separano.
Prendono il sopravvento non solo gli interessi ma anche le frustrazioni personali e le faccende irrisolte, di più se mancano figure dirigenziali capaci di ammortizzare e disinnescare spegnendo i fuochi fatui.
Divisi e perdenti nel vuoto tattico nel quale sono sprofondati.
Il Napoli dello scudetto è morto, quella squadra non c’è più, ci sono i nomi dei calciatori ma ognuno di loro, va da solo e non sanno cosa fare, senza organizzazione tattica.
Con Garcia furono le proteste, plateali con Mazzarri è tutto un gesticolare e domandarsi dove andare.
Illuminanti le parole di Juric nel post partita di Torino:”Il Napoli dell’anno scorso era devastante con concetti di gioco pazzeschi e avevano un allenatore di livello altissimo”.
Ecco la risposta a tanti perché.