Francesco Vatalaro, professore di telecomunicazioni, in un articolo per Il Fatto Quotidiano, ha spiegato i motivi dei problemi di streaming di DAZN, negando soluzioni in tempi brevi.
“Ha fatto scalpore in questi giorni il difficile debutto di Dazn nel mercato italiano. In proposito sulla stampa si sono letti molti commenti inesatti che rischiano di portare fuori strada: non comprendere le cause dei difetti riscontrati non aiuta a prevedere se si tratta di problemi temporanei o, malauguratamente, destinati a persistere. Per non essere inattendibili, occorre fare ricorso a informazioni ufficiali e ad oggi l’unica fonte diretta è rappresentata da due interviste – tra loro molto simili ed entrambe del 21 agosto – del Ceo di Dazn, mister James Rushton, l’una pubblicata su La Gazzetta dello Sport e l’altra sul Corriere della Sera, che forniscono poche ma utili informazioni.
L’architettura di sistema impiegata da Dazn (come pure da Netflix) si basa sull’uso delle cosiddette Cdn (Content delivery network) che sono reti di memorie (cache e cloud) distribuite. Per esempio, quando si chiede un piccolo filmato YouTube a Google che ha “hyper data center” in un limitato numero di località molto lontane dai clienti finali, la richiesta viene “catturata” da una Cdn. Interconnesse con le reti degli operatori Telco, le Cdn consentono di avvicinare i contenuti ai clienti e questo migliora le prestazioni. Purtroppo, però, tenuto conto che di solito le Cdn sono esterne alle reti dei Telco, la “distanza” tra contenuto e cliente (in effetti, tecnicamente interessano il tempo di andata e ritorno e i pacchetti persi) limita la qualità del video in termini di risoluzione e consente di avere una qualità Hd, che richiede non meno di 7,2 Mbps su televisori di grandi dimensioni (55 pollici o superiori), solo per un “piccolo” numero di clienti.
Nel caso di Dazn, in Italia risulta un accordo con il Cdn service provider Limelight, che possiede due Pop (centri di redistribuzione), l’uno a Milano e l’altro a Palermo, entrambi “lontani” da molti clienti italiani; potrebbero essere attivi altri accordi (ad esempio con Akamai) ma questo in effetti servirebbe comunque a poco, se come plausibile sono tutti Pop “lontani”, perché esterni alle reti dei Telco. Non risultano in essere accordi con i Telco italiani che potrebbero consentire l’avvicinamento della piattaforma di Dazn ai clienti, tant’è che Rushton afferma che “abbiamo parlato direttamente con la maggior parte dei provider italiani per assicurarci che il nostro traffico dati venga ottimizzato e dove possibile incanalato su corsie preferenziali”. L’uso di tunnel Ip (ossia di corsie preferenziali) potrebbe giustificare un moderato miglioramento solo in alcuni casi: non è una soluzione generale al problema.
Rushton, d’altronde, nell’accollarsi onestamente la responsabilità dell’accaduto, libera il campo da alcuni luoghi comuni molto gettonati sulla stampa, che non servono a spiegare i disservizi patiti: infatti dichiara che “l’attuale infrastruttura italiana non è un problema per noi” e altrove conferma che il disservizio “non ha alcuna correlazione diretta con il numero totale di visualizzazioni o con la pila tecnologica di Dazn, la capacità dei Cdn o la dorsale Internet italiana“. Non conta l’infrastruttura dei Telco (infatti hanno sofferto sia clienti sul rame che clienti sulla fibra), né la capacità dei provider Cdn (la dimensione dei server) e neppure la quantità di clienti connessi (il Ceo di Dazn informa che “la nostra audience ha raggiunto il picco con 440mila dispositivi simultanei”). È ragionevole attendersi che il dimensionamento dei server della Cdn impiegata sia stato adeguato, ma rimarrebbe da verificare se, con il traffico generato, in tutte le aree di distribuzione le reti di trasporto dei Telco fissi e mobili interessati erano dotate di risorse sufficienti (senza dati specifici non si può confermare). Anche da questo punto di vista, sarebbe comunque, di nuovo, l’eccessiva “distanza” dei server Dazn la causa dell’eventuale collo di bottiglia. Starebbe a Dazn fornire chiarimenti ulteriori.
Il Ceo dell’azienda di streaming londinese tende a minimizzare la portata dei problemi (e qui, a mio parere, sbaglia) provando a porgere la giustificazione secondo cui “il re-buffering su tutti i tipi di dispositivi ha impattato sul 10% di tutti gli utenti per un periodo di 20 minuti, per un totale di 52 secondi di media a utente”. Si tratta, in effetti, di un disservizio molto grande – specie se confrontato con quanto ottenibile da servizi analoghi di altri affermati Ott (Over the top) – e, comunque, mai nessuno si sognerebbe di riferirsi ai valori medi: interessano piuttosto i valori di picco, ossia il disservizio sperimentato da una percentuale piccolissima di utenti per un tempo molto limitato. Dai dati forniti, Dazn sembra molto lontano da una qualità accettabile.
Un altro aspetto importante messo in evidenza nelle interviste riguarda la differenza di prestazione fra terminali fissi e mobili: secondo il Ceo di Dazn “i dispositivi da salotto hanno ottenuto risultati significativamente migliori (come standard) rispetto ai dispositivi mobili” e l’alto numero di malfunzionamenti viene imputato al “periodo vacanziero in Italia”. Potrebbe però essere ottimistico attendersi risultati molto migliori nei mesi futuri, considerata la notevole diffusione delle connessioni broadband mobili in Italia (a differenza di altri Paesi in cui Dazn opera) e sembra lecito dubitare, come affermato, “che l’esperienza visiva migliorerà”, quanto meno in modo significativo.
Ma allora, se non conta né la velocità della rete d’accesso (rame, fibra o wireless), che però è un prerequisito come visto sopra specie per i servizi Hd, né il numero di clienti e neppure la capacità dei server Cdn, a che cosa si deve imputare il disservizio? La spiegazione fornita da Dazn è che “la causa principale è stata identificata in un singolo Cdn insufficiente a causa della gestione dei file di registro degli errori”. Come nel caso di Netflix, anche Dazn all’atto dell’abbonamento scarica sui terminali un’app che mantiene il colloquio continuo con il server per il monitoraggio della qualità (attraverso misure d’errore), come d’altra parte spiega lo stesso Rushton a La Gazzetta (“Dazn monitora la sua pila tecnologica e le relative prestazioni per il consumatore finale in tempo reale”). Non vi è motivo di dubitare che abbia inciso uno sfortunato malfunzionamento temporaneo. Resta però da dimostrare che, qualora Dazn avesse potuto tempestivamente trasferire i flussi su cui misurava troppi errori, ciò avrebbe migliorato sensibilmente la qualità: per quanto detto, su questo vi è ragione di dubitare.
Un aspetto non affrontato da Dazn nelle interviste, ma giustamente molto criticato dagli utenti, riguarda il ritardo con cui si riceve il video (video delay), secondo alcuni anche di un minuto. Come è ovvio, si tratta di un problema che nella distribuzione di video live di eventi sportivi è particolarmente fastidioso. Non ci si può aspettare che in futuro il video delay venga cancellato, ma senz’altro l’architettura di sistema adottata da Dazn non lascia spazio a grandi miglioramenti a causa del limitato numero di Pop e della conseguente grande “distanza”, misurata in termini di attraversamento di nodi, di cui soffre. Ancora una volta è la “distanza” che conta e, dunque, l’architettura Cdn prescelta.
Prima di venire in Italia Dazn ha sviluppato già una certa esperienza (Germania, Giappone, Canada, etc.). Non è resa nota la configurazione della rete di cui si serve in questi Paesi, ma in Giappone sembra che il provider lavori a stretto contatto con il Telco mobile NTT DoCoMo che potrebbe consentire a Dazn di appoggiarsi su un numero grande di Pop di accesso “vicini” ai clienti; se confermato, si tratterebbe di una differenza di non poco conto con la situazione italiana, che però era ben nota a Dazn quando ha deciso di avviare il proprio business nel nostro Paese. In Canada, poi, nel 2017 Dazn sembra sia andato incontro a problemi simili a quelli oggi sperimentati in Italia; non solo si era, anche in quel caso, dovuto scusare per il “servizio inadeguato”, ma sembra che addirittura sia passato sul broadcast tradizionale “cedendo alle pressioni del pubblico di rendere disponibile l’insieme completo delle partite sulle piattaforme delle compagnie via cavo e satellite”. Un brutto segnale.
In definitiva, sembra lecito affermare che l’architettura Cdn prescelta da Dazn in Italia si è rivelata, sulla base dell’esperienza dello scorso weekend, inadatta al particolare servizio che il provider intende erogare. Porgere le scuse ai clienti è senz’altro un apprezzabile gesto di correttezza, in quanto la scelta tecnica poco adatta ricade unicamente su Dazn. Ma la domanda che si pongono i tifosi di calcio è se sia possibile porre rimedio ai problemi che sono emersi. Naturalmente tutti se lo augurano ma, come accennato, l’inadatta scelta architetturale lascia poco spazio a soluzioni generalizzate in tempi brevi”.