Gabriele Gravina, candidato alla presidenza della FIGC, ha parlato ai microfoni di Radio CRC Targato Italia delle possibili novità in federazione.
“La gara è ancora più complessa da soli poiché la difficoltà è proporzionale all’affetto che mi è stato dimostrato. Diventa una sfida ancora più difficile, che accolgo per dare un contributo più costruttivo alla causa. Abbiamo capito a caro prezzo, sulla nostra pelle, il momento che vive la storia del calcio italiano per i problemi legati alla progettualità. Il mondo esterno chiedeva la nostra assunzione di responsabilità per dare un contributo congiunto per la situazione che ha vissuto in tutti i campionati il calcio italiano. Non siamo autonomi nel processo di riforma, si può attuare solo in armonia col governo e col CONI. Saremmo folli a pensare che le decisioni politiche possano essere presi solo da noi: tutto deve essere condiviso col CONI, mentre il governo dovrà valutare con attenzione le norme e le regole che gestiscono il calcio italiano.
Le leggi sono vecchie di 37 anni e non possiamo pensare che siano queste a governare un mondo che è cambiato. Noi dobbiamo rispettare i principi, quali la libera circolazione. Ma un conto sono le norme e l’altro è la cultura nel coltivare e crescere i giovani. Si tratta di un investimento sociale, educativo e di prospettiva. Non possiamo affidare figli e nipoti a chi non ha formazione, quindi è necessario un modello che certifichi le scuole calcio. Poi deve esserci dialogo anche con le scuole, poiché al suo interno ci sono ragazzi che non sanno cosa sia davvero il calcio. Nessun gioca più, stiamo creando solo falsi ideali. Facciamo giocare i bambini!
Squadre B e multiproprietà? Sono a favore delle seconde squadre in maniera coordinata a livello progettuale. Le multiproprietà, invece, generano conflitto d’interessi e quindi negatività. Allan e gli oriundi? Il problema non è il passaporto. Se esistono norme che consentono di scegliere e se ci sono atleti che si considerano talenti del calcio italiano, dobbiamo ricordarci che non esistono barriere e posizioni geografiche. Ho sempre visto l’azzurro come un colore che inorgoglisce, io mi sento italiano non solo con l’inno. E’ bello vivere questo sentimento in maniera costante e continua. Non ne faccio una distinzione sulla base del passaporto. Ha il diritto di essere considerato un italiano.
Guardiamo avanti per non essere ancorati a vecchie logiche. Io metterò a disposizione tutte le mie energie, avrò collaboratori e amici di lungo viaggio che mi aiuteranno. Spero in un calcio diverso, che è meno peggio di quello che qualcuno vuole far credere. Cori discriminatori? Affronteremo delle modalità anche per le responsabilità oggettive. E’ anche un fatto di educazione: quei tifosi erano ragazzi, che hanno visto genitori, i quali durante una partita di amatori non facevano altro che istigare. Per cui ci si sente autorizzati a farlo. Mandiamo un messaggio di educazione e cultura”.