Mica lo abbiamo pensato solo noi che la Juventus per risollevarsi avesse deciso di copiare il modello Napoli.
Però, era anche poco dignitoso per un club storico non avere altre idee che non fossero quelle già sviluppate da De Laurentiis. Bisognava trovare una radice autoctona, insomma, qualcosa di originale.
Alla fine, si è optato per la Juventinità, sembrava buona: Giuntoli è un marchio juventino, a Napoli hanno avuto il pezzotto, l’originale è solo nostro. Così non si dà l’idea di imitare un format già visto su altri schermi ma di produrre una serie autentica.
Il copione è sempre lo stesso, si parte con le interviste a parenti e conoscenti per certificare, fino alle dichiarazioni del diretto interessato. In una parola: Propaganda.
Per carità, nessuno mette in discussione l’autenticità del racconto che, peraltro, vi avevamo anticipato la scorsa settimana ma sono inciampati su una parola: Juventinità.
Doveva essere la certificazione del marchio bianconero da apporre su Cristiano Giuntoli ed invece è stata la più clamorosa delle imitazioni della napoletanità.
Napoletanità è uno stato dell’animo, con radici piantate nella terra vulcanica su cui è adagiata Partenope, è una lingua universalmente conosciuta, è tradizione, è appartenenza, è fusione tra un popolo e squadra. Napoletanità è ironia e fatalismo, tragedia e commedia, dolore insopportabile e gioia sfrenata. Napoletanità è troppi con poco e pochi con tanto, è adda passa’ ‘a nuttat’, è fuoco e acqua è ieri, oggi e domani.
Invece la juventinità che cos’è? Magari ce lo spiegheranno nella prossima puntata del Vangelo secondo Cristiano. Ci può stare.