Garcia ha fatto nel Napoli quello che i francesi fecero dopo la rivoluzione, inaugurando il periodo del ‘Terrore’ che fece tabula rasa del passato.
È peccato mortale sprecare i talenti che vanno fatti fruttare.
È inutile girarci intorno, Garcia non ne ha azzeccata una, ne’ sul campo e neppure fuori.
Iniziò il giorno della presentazione, dicendo( senza neppur aver incontrato un solo calciatore) che doveva riaccendere il fuoco in una squadra che poteva essersi spenta dopo lo scudetto.
Perché?
La logica, avrebbe voluto che si dovesse ripartire proprio dall’orgoglio, la consapevolezza e l’entusiasmo che quello scudetto aveva portato, esaltando le qualità dei suoi ragazzi.
Ancora, non ha mai detto che questa squadra aveva il dovere assoluto di onorare e difendere il tricolore che portavano sul petto.
Nessuno, lo ha mai sentito parlare di senso di apparenza e spirito identitario o di fusione con una città unica anche perché non si divide nel tifo ma ha un solo club.
Napoli non la nomina mai, strano.
L’inciampo più clamoroso. fu quando precisò che non conosceva il passato di questa squadra e come giocavano i calciatori che, peraltro, non poteva seguire nelle Nazionali perché erano troppi(?).
Non da meno l’affermazione che
“Se non puoi vincere devi almeno pareggiare” detta da tecnico dei campioni d’Italia, mentre stai perdendo, a giustificare atteggiamenti tattici incomprensibili è inaccettabile.
Garcia ha fatto nel Napoli quello che i francesi fecero dopo la rivoluzione, inaugurando il periodo del ‘Terrore’ che fece tabula rasa del passato.
Sul campo ha fatto anche peggio:
Una squadra vive di consapevolezze e gliele ha tolte, un allenatore fonda la propria forza sulla credibilità nei confronti del gruppo, invece, i calciatori
( in modo plateale e irrispettoso) lo mandano, a turno, a quel paese e questo non può essere consentito.
Certo, le sostituzioni di Garcia passeranno alla storia:
‘Zerbin per Kvara’ entrerà a pieno titolo nella narrazione epica napoletana e così, quelle di Osimhen quando stai pareggiando o perdendo.
Scegliere di difendersi basso, allungare la squadra, cancellare il concetto tattico di andare avanti per recuperare palla con un pressing deciso sull’avversario, in fare di non possesso, e avere una linea difensiva confusa e poco reattiva.
Cambiare 2/3 moduli a partita, mettere Raspadori ovunque, purché sia lontano dalla porta.
Dimenticarsi di Elmas e di Mario Rui.
Aggiungiamoci anche un po’ di sfortuna( prendere gol al primo tentativo avversario) ed avere il portiere in un momento poco felice.
In tutto questo, torna il problema infortuni, e Anguissa si ferma di nuovo.
Ora è tutto, come sempre, nella testa di De Laurentiis che sta facendo le sue considerazioni ma il tempo non aspetta e in gioco c’è troppo per non valutare ogni cosa, con estrema attenzione e lungimiranza.
La ricchezza del Napoli è auto prodotta e si fonda sul valore dei calciatori in un mercato volatile che brucia milioni al ritmo di 90 minuti.