Altri sport

Franco Balmamion e Gigi Mele: Il “Cinese” e il “Gregario canterino”

Franco e Gigi, due facce di una stessa medaglia. La prima d’oro perché ammantata di vittorie eterne, successi e onori concessi a quanti pedalando sono riusciti ad aggiornare statistiche e preziosissimi palmares. L’altro, campione avrebbe potuto diventarlo, perché nell’apprendistato del dilettantismo Gigi di vittorie prestigiose ne aveva colte tante. A Cuorgnè, la classica che battezzava gli astri nascenti del ’60, i due amici erano arrivati a braccetto e per Franco, meno veloce allo sprint, non c’era stato niente da fare.

Orgogliosamente canavesano di Nole, Balmamion, soprannominato “il cinese” dai cronisti dell’epoca, più o meno esperti di fisiognomica e fisionomia, era la serietà e la regolarità, in tutte le espressioni: una precisa e inderogabile regola di vita contrappuntata da cordiale riserbo. L’altro era per tutti Gigi Mele, torinese di…Calvi Risorta, poliedrico, multiforme interprete della vita, ma anche scanzonato. Troppo alla buona perché fosse stato più cinico, spietato sulle strade d’Europa, anche tra i professionisti avrebbe lasciato un segno graffiante. È andata così ma Franco e Gigi continuano a essere la bellissima storia di un’amicizia rara, profonda, scolpita nella roccia di tempre d’altra epoca.

La ringrazio molto Gigi, campione nello sport e nella vita, lei è esempio di umiltà e fierezza.

Ma va, sono io che ringrazio lei. Ha avuto una gran pazienza ad ascoltare ricordi sbiaditi di un vecchietto malato. Piuttosto se ha bisogno di comunicare con campioni blasonati, veri come Balmamion e altri sono a disposizione.

Si era conclusa così lo scorso novembre l’intervista a Gigi Mele, da parte della mia collega Valeria, al ragazzino di Calvi Risorta, ormai giunto al crepuscolo della sua vita, che tanto ha dato allo sport e alla sua gente. Un uomo di altri tempi, che oggi non c’è più, ma che vive nel ricordo di quanti, tanti, lo hanno conosciuto.

A circa 5 mesi dalla sua morte, sono andata io personalmente e ho piacevolmente chiacchierato proprio con Franco Balmamion, il campione e grande amico di Gigi, mio nonno.

Gigi ti considerava come un fratello, sentimento reciproco, cosa ti è rimasto di lui?

In occasione dell’arrivo di una tappa del Giro d’Italia del ‘63 a Oropa ho vinto un soggiorno. Visto che c’era quell’amicizia fraterna che si è detto, siamo andati io e Gigi. Siamo andati l’anno dopo, nella primavera del ‘64. Ad Oropa, una frazione a nord dalla città di Biella, si trova il Santuario dedicato alla Madonna Nera. Eravamo sempre assieme: siamo andati su con le biciclette e siamo stati lì 5 giorni. C’era una funivia che conduceva al Lago del Mucrone e c’era un albergo. Eravamo solo noi 2 clienti (ride), però si stava bene. Uscivamo con le bici, abbiamo fatto di tutto, ci siamo divertiti molto.

Per farti capire, è il santuario dove realizzò una delle sue più grandi imprese Pantani, quando gli cadde la catena della bici e poi vinse in grande rimonta la tappa, riprendendo anche Jalabert alla fine, non sapeva neanche se fosse primo o no. Ecco, quel posto lì, quella salita lì.

Prosegue Franco Balmamion…

A proposito di quel periodo, ti racconto un aneddoto. C’era un altro corridore nostro amico, Walter Martin. È stato professionista, ha vinto anche la Milano-Torino nel ‘61. Martin correva la sera in pista a Torino. Anche Gigi correva in pista, io invece non andavo. Proprio nel periodo del nostro soggiorno ad Oropa, una sera Martin ha avuto un incidente con un cronometrista al Motovelodromo di Torino ed è rimasto in coma per diversi giorni. In seguito, non ha più corso. Aveva un anno in più di Gigi, erano tanto amici. Prima di salire ad Oropa per il soggiorno, al mattino sono passato a prendere Gigi. Martin aveva avuto l’incidente la sera prima, credo, e siamo passati in ospedale a trovarlo. Aveva ancora i pantaloncini da ciclista e la maglietta. Quell’anno correva per la Carpano. Siamo prima passati a salutarlo e poi siamo andati su. Ci legava una sincera amicizia a Martin. Anche successivamente, mentre era alle prese con la riabilitazione, io e Gigi passavamo a salutarlo con le bici, quando andavamo ad allenarci. Ricordo che un mattino c’era una ragazza, un’infermiera, che lo assisteva. Martin voleva accompagnarci alla porta per salutarci, ma ha dato un po’ in escandescenza perché lei non voleva. Abbiamo convinto noi l’infermiera: così è venuto alla porta, lo abbiamo salutato e siamo andati via. Dopo quella volta non siamo più passati: non so se fosse un male o un bene andare lì, ci vedeva con i completini, sapeva che saremmo andati in bici. Gli volevamo bene, non era nostra intenzione ferirlo. Lui era compagno di squadra di Gigi, proprio da dilettanti avevamo corso insieme, erano ed eravamo amici. È mancato circa 3 anni fa.

Mi racconti il corridore che era Gigi? Di te sappiamo tutto, sei stato un campione mostruoso…

Ci allenavamo insieme, anche se non si correva per la stessa squadra. Lui andava forte in allenamento. Poi, in gara otteneva meno di quanto avrebbe meritato. Era un po’ emotivo, glielo dicevo, la notte dormiva male e poco. Poi, sai, bisogna considerare le varie circostanze. Quando era in squadra con Gaul doveva attenersi alla volontà del Direttore Sportivo e del team. Sei pagato, l’obiettivo è correre per il capitano. C’erano tanti capitani e pochi gregari. Non puoi esprimerti al massimo delle tue potenzialità e anche se vai più forte devi seguire le regole.

Poteva fare di più? Avrebbe meritato di più? Cosa ti è rimasto? Racconta qualche aneddoto.

Pensa che da dilettante ha vinto molto più di me. Solo che all’epoca le squadre non pagavano per i punti. Nel ‘60 già lo davano professionista proprio perché aveva vinto tanto: aveva 60 punti. Avrebbe meritato di vincere quella tappa del Giro con l’arrivo a Milano, quando è stato anticipato da Altig, è stato un dispiacere immenso per lui. Ha vinto la corsa in Svizzera, a Vaduz, ma avrebbe meritato molto di più. Una marea di piazzamenti e secondi posti…avesse vinto la metà di quelle gare lo avrebbe meritato eccome. Ci allenavamo insieme e devi credermi, andava forte. Poi in gara, le logiche di squadra e la sua indole di “buono” facevano il resto.

Ti racconto qualche aneddoto.

Silver lo hai scritto anche nel tuo libro. In un Giro di Lombardia, a causa di una pioggia improvvisa e incessante, ci siamo fermati a circa 50 km dalla partenza (da Milano). Gigi aveva quelli della Gazzola ed io avevo quelli della Carpano che ci aspettavano a Milano. Difatti, non ci avevano più visti. Ma lui era convinto che il suo direttore sportivo fosse dietro di noi con la macchina. Diceva: – “No, ma c’è dietro con la macchina Franco, tranquillo.” – Così ci siamo fatti staccare e al primo paese ci siamo fermati. Ti dirò, c’erano per lo più donne e ci hanno dato le prime cose che avevano, dei grembiuli. Io avevo bucato le scarpe in punta, entrava acqua anche da lì. E c’erano le altre persone del paese che accorrevano perché avevano saputo che si erano fermati due ciclisti. Che risate!

Un’altra volta, da professionisti, nel ‘64, siamo passati nei pressi di Calvi Risorta. Poco prima di arrivare, Gigi ripeteva: – “Mi raccomando ragazzi, adesso andate piano, mi devo fermare al paese, a casa mia, devo portarvi l’anguria fresca”. – Ma io scherzosamente ho iniziato ad andar forte e non è riuscito a riprendermi. Ha dovuto gettare l’anguria, capisci? Quando l’ha saputo, si è arrabbiato, ma è finito lì, eh?! Si rideva e si giocava sempre. Era così tra noi. Il mio è stato uno scherzo di cattivo gusto. Gigi era anche più scherzoso di me. Quindi è passato tutto in un attimo, come sempre.

Gigi è riuscito qualche volta a metterti la ruota davanti?

Durante la San Pellegrino a tappe che era una sorta di Giro d’Italia dilettanti per rappresentative regionali. Nell’ultima tappa Gigi è arrivato secondo, Santini primo, io quinto. Io però ho vinto la competizione. Lui credo sia arrivato sesto in classifica generale. A quel punto contava il tempo, a me andava bene quel piazzamento. Ma nel ‘60, da dilettante, in Piemonte, tra le varie corse vinte da Gigi, c’è stata la classica Coppa Città di Cuorgnè. Mi ha anticipato allo sprint. Andava forte Gigi.

Che uomo era?

Gigi sapeva fare tutto, qualsiasi cosa: cantava, suonava, sapeva giocare a calcio, a tennis, sciava, amava raccontare, sempre con il sorriso, con un gradevole tono ironico. Noi facevamo tutto insieme. Ricordo un episodio divertente.

Giocavamo a calcio in una squadra fatta di ciclisti. Gigi e gli altri giocavano tutto l’anno. Aveva smesso prima di me con la bici. Io quando correvo non giocavo, ma di inverno andavo anch’io. Nello spogliatoio ognuno, come di consueto, portava la borsa e l’occorrente. Gigi non aveva mai l’asciugamani. – “Oh che bello questo” – e si asciugava. Se l’avesse chiesto, l’avremmo prestato, ma lui faceva così. Che ridere!

Sai, Gigi ha continuato anche dopo a giocare a calcio. Io ho un figlio del 71. Mio figlio aveva dei colleghi di lavoro e Gigi ha continuato a giocare anche con loro, ma giocava in squadre di categoria eh! Gigi giocava veramente bene.

Che ruolo aveva?

Gigi giocava dappertutto. Era bravo in porta, ma anche all’attacco da centravanti. In difesa non tanto, ma Gigi era di quei tipi che nascono così. Poi, è stato bello negli anni ascoltare i suoi racconti e le sue storie. È stato spesso anche qui a casa mia. Anche io sono stato a casa sua. Una volta sono andato in vacanza ad Ischia e ha insistito affinché mi fermassi qualche giorno da lui. Ricordo che quando siamo arrivati a Calvi abbiamo chiesto ad un ragazzo per strada dove abitasse Luigi Mele. E lui prontamente: – “Chi? Gigi Mele forse? Abita lì.”

Quando è venuto lui su, si è trattenuto spesso da me. In particolare, ricordo di una volta in cui c’era mia figlia con i suoi 2 bambini. Eravamo qui a mangiare, c’erano Gigi e Antonietta. Gigi era alle prese con i suoi racconti, poi si conversava tra di noi. I bambini avevano circa 10 anni. Dopo pranzo mia figlia si preoccupava e chiedeva ai bambini di lasciarci soli. Ma loro volevano stare con noi perché si divertivano ad ascoltarlo. Gigi era così, dai! Amava molto raccontare le nostre esperienze, si parlava di tutti noi, dei compagni. Poi alcuni sono passati professionisti e altri no, ma questo non vuol dire nulla. Perché eravamo noi, tutti uguali, amici fraterni. Lo scopo deve essere quello secondo me. La gara è la gara e si fa, ma poi è l’amicizia che resta. Io penso che oggi non sia più come una volta; i tempi cambiano e quindi forse è anche normale che sia così.

Se volessi descriverlo con un aggettivo, come lo definiresti?

Generoso. Io di lui ricordo il profondo senso di amicizia che ci univa, identitaria. E mi piace parlare con tuo padre Silver: mi ricorda lui. Ha la sua voce, uguale, uguale, uguale.

Comments

comments

Ultimi Articoli

To Top