Corrado Ferlaino, ex presidente del Napoli, ha rilasciato un’intervista a “Il Corriere dello Sport – STADIO”. Di seguito alcuni stralci.
“Come comprai il Napoli? Questo è l’antefatto, risale al periodo immediatamente successivo al decesso di uno dei proprietari della società, ma andò proprio così. Il Napoli era frazionato: 33% tra Lauro, Fiore e Antonio Corcione, morto da poco e con la famiglia decisa a cedere la quota. Sua moglie invitò me e i miei soci, un gruppo di giovani imprenditori che intendeva acquistare quel terzo del club. C’era altra gente interessata, quella mattina, e all’ascensore preferii andare a piedi. La vedova Corcione mi aprì, le dissi che ero interessato e che volevo parlarle, mi fece accomodare in una stanza e quando arrivarono gli altri, si accomodarono in un salone-soggiorno, che io chiusi a chiave dall’esterno. Trattativa-lampo: offrii subito 70 milioni di lire e feci il gesto di redigere immediatamente l’assegno. La signora accettò e mi ritrovai proprietario d’una quota del Napoli.
Quando si scatenò lo scontro tra Lauro e Fiore, padroni dei due-terzi ovviamente. Venni nominato presidente dal Comandante, che in quel modo volle fare uno sgarbo al suo socio. Mi informò il centralinista dalla sede, che mi chiamò per farmi gli auguri.
Nei miei primi anni alla guida della società lo Scudetto lo vincevano Fiorentina e Cagliari? Ma il Napoli non aveva autorevolezza e il potere, tranne quelle eccezioni e poi poche altre ancora, era sempre radicato al Nord. C’era la Juventus degli Agnelli, la Milano ricca ed evoluta, poi ogni tanto qualche exploit, costato successivamente caro. Noi galleggiavamo, fieri del nostro bilancio, ma la svolta avvenne un giorno che andai in banca e mi accorsi che il Napoli era sostanzialmente ricco, però storicamente povero. Volevo vincere, non mi bastava più il benessere economico.
Non nascerà un altro Maradona, sono stato il suo carceriere e lo rifarei. Quando Tapie, presidente dell’Olympique Marsiglia, mi fece chiamare per avanzare la sua proposta, scelsi di non riceverlo. Mi negai. Lui riuscì ad arrivare a me: ecco l’assegno, metti tu la cifra, prendi quello che vuoi. Risposi sdegnato. Siamo diventati amici successivamente, incontrandoci a Capri, e sorridendo di quella presunta trattativa.
Amicizie potenti? Alla fine degli anni ‘80, la Dc era una forza. Io sono stato al fianco di presidenti federali di quel tempo, di Federico Sordillo, di Franco Carraro, con il quale ancora capita di sentirci, andavo in vacanza spesso dove andavano loro, mi serviva per tutelarmi. Non abbiamo ricevuto nulla, ma il Napoli almeno non è stato danneggiato. Nel Milan di quel tempo era arrivato anche Berlusconi, che aveva Mediaset, e noi avremmo rischiato il soffocamento. Però confesso che alla Rai c’era Biagio Agnes.
I miei dossier-arbitrali? Oggi c’è il Var e se sbagli sei inchiodato quasi al pubblico ludibrio. Ma in quegli anni lì, l’unico appiglio era la moviola, che però arrivava alla sera, alla Domenica Sportiva, a partita abbondantemente finita. Se un arbitro sbagliava, non c’era modo di rimediare. Mi dovevo pur tutelare. Ora invece si va al video e si decide, tranne in qualche occasione: per esempio a San Siro, nella stagione scorsa. Orsato è in debito con il Napoli e lo sa bene. Ero vice presidente della Lega e rappresentante, con Boniperti che però si vedeva poco, in Consiglio Federale, dove casualmente sedevo al fianco del designatore. Mai ricevuto favori, però.
Chi ho amato? Diego è fuori concorso, ovviamente, ma io ho pensato sempre al Napoli, non privilegiando alcun tipo di rapporto personale. L’ho fatto per natura ma anche per esigenza, affinché non si confondessero i ruoli.
Mi mettevano le bombe sotto casa? sì, ma adesso in compenso se entro in un ristorante e lo trovo pieno, c’è sempre qualcuno che mi cede il posto o un cameriere gentile che lo libera. Ho ricevuto con gli interessi quello che forse mi era stato negato, ma ne sono felice, perché quella intransigenza è servita».
Lo scudetto dell’88 al Milan? Si dicevano tante cose, e il Milan non c’entra, in quei mesi: il fenomeno delle scommesse clandestine era napoletano, gestito da una famiglia che circuiva alcuni calciatori, tra cui Diego, fotografato nella vasca di casa, mi pare, di uno degli esponenti di quel clan. L’anno dopo andai alla Polizia, mi venne suggerita un’agenzia di investigazioni, li interpellai, mi avvisavano sulle dinamiche delle quote, sulle gare in cui improvvisamente si verificano strane impennate. E io per prevenire e fronteggiare triplicavo i premi partita. Ma sulla onestà dei ragazzi non ho dubbi, però sapesse il dolore per aver lasciato quello scudetto al Milan.
Oggi il razzismo dilaga? Me ne accorgo, ma non creda, rigurgiti c’erano anche ai miei tempi, anche se pochi. Ma quando andavamo a Torino, con la Juventus, non era pomeriggi semplici: può darsi che avessero colto la nostra evoluzione e cominciassero a temerci, boh. Mi piace ciò che sta facendo Ancelotti, quello che sta dicendo e anche il modo in cui sostiene le sue tesi. E ho fiducia in Gravina: è uomo di calcio, lo conosce da dentro, lo ha attraversato per intero e dal basso. Fidiamoci di lui.
Campionato finito quest’anno? La Juventus ha tanti più soldi degli altri e il divario si è andato allargando”.