Il Campionato che sta entrando nel vivo, mai come quest’anno equilibrato ed incerto, si contrappone, alle continue ed incessanti inchieste e polemiche che stanno sempre più spesso scalfendo la credibilità del mondo del pallone.
Tanto per citarne alcune, il caso Infront, le tangenti pagate per organizzare i mondiali 2006 in Germania, il caso Fifa, con protagonisti Blatter e le consulenze a Platini, per poi, non trascurare quello che avviene per la gestione del San Paolo, i biglietti omaggio e la polemica della mancata convenzione ponte, che dovrebbe essere approvata venerdi, in consiglio comunale.
In questa ottica, poi non bisogna dimenticare gli scandali delle partite truccate, i cui processi, sono ancora in fase di definizione. Proprio in questa direzione, è di notevole importanza, l’ultima novità in materia di danno risarcibile, che interessa direttamente, anche il calcio, e lambisce il primo filone di indagini sulle gare truccate, che nel 2014 ha portato alla squalifica di alcuni giocatori.
La partita incriminata, Bari-Lecce, in cui il risultato (0-2) aveva arriso ai salentini. Ma quella non fu una partita regolare: la terza sezione penale del Tribunale di Bari, lo scorso 25 novembre, l’ha giudicata “combinata”.
A farne le spese, i soliti noti: i tifosi, gli appassionati, quelli che, impegnando tempo, soldi e affetto verso la propria squadra, si recano ogni settimana all’interno di uno stadio, confidando nel buon esito della gara, ma, dando per scontato che i ventidue in campo si affrontino con leale spirito sportivo e autentico agonismo. In questo senso, la partita disputatasi il 15 maggio 2011 nel capoluogo pugliese, ha tradito tutti, persino qualche atleta ignaro della combine, non certo Andrea Masiello, all’epoca difensore del Bari, che, ha confessato di aver pattuito con i dirigenti del Lecce il pagamento di 300.000 euro per far perdere la propria squadra.
Secondo la corte, un simile tradimento non poteva restare impunito nei confronti proprio di quei tifosi, la cui passione sportiva è stata, forse irrimediabilmente, rovinata.
E’ così che nasce la pronuncia dei giudici baresi, che hanno riconosciuto un diritto al risarcimento di 400 euro – pari a dieci volte il costo medio dei biglietti d’ingresso per quella domenica – ai tifosi di entrambe le squadre, costituitisi parti civile, presenti quel pomeriggio al San Nicola sulla base dell’assunto per cui “l’alterazione della regolarità di una gara sportiva è idonea a cagionare ai tifosi un significativo e non bagatellare pregiudizio, consistente, oltre che nel patimento e nella sofferenza transeunte, nell’aver in qualche modo smarrito i propri valori sportivi e mutato in senso peggiorativo le proprie abitudini di vita: delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori, perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la propria squadra di calcio dal vivo, anche in trasferta”.
Quindi, anche il malessere provocato da una delusione sportiva, trova dunque dignità giuridica all’interno del sistema.
Nel liquidare l’importo, il Giudice ha tenuto conto del “notorio fascino, per gli appassionati di sport, della c.d. partita di cartello, e della tradizionale e imperitura contrapposizione sportiva tra le opposte tifoserie delle squadre” e del fatto che “tale circostanza rende immediatamente apprezzabile come la sofferenza nell’apprendere che la partita era stata truccata sia stata ben più grave e profonda di quanto avrebbe potuto esserlo in relazione a qualsiasi altro incontro di calcio della propria squadra del cuore”. In altre parole, il danno è già importante, ma il fatto che si tratti di un incontro di cartello e particolarmente sentito da entrambe le tifoserie lo rende ancora più grave.
Per ricevere il risarcimento, ogni tifoso dovrà dimostrare di essere stato presente quel giorno all’interno dell’impianto sportivo barese, allegando al proprio biglietto o abbonamento, la confessione del calciatore.
Altra situazione, anche se solo marginalmente legata al mondo del calcio, è quella che riguarda la disputa, ormai pluridecennale che vede contrapposto Maradona al Fisco italiano. In questa ottica, una sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Palermo, sembra sposare pienamente la difesa di Maradona e le sue giuste argomentazioni. Infatti, se l’accertamento fiscale è illegittimo, va sempre annullato, anche se scaduto e non più contestabile.
La Commissione Tributaria Regionale di Palermo, con recente sentenza, ha accolto le doglianze di un contribuente nonostante l’accertamento fiscale fosse scaduto e dunque i termini per opporsi fossero inevitabilmente trascorsi.
In particolare, i giudici siciliani sanciscono che se la pretesa dell’Agenzia delle Entrate è illegittima, essa va sempre annullata (Sentenza n.3177/17/2015 depositata in segreteria il 15/07/2015, Presidente Dott. Salvatore TORCHIA.
I giudici, inoltre, evidenziano come nessun impedimento può essere determinato dal fatto che l’atto non sia stato impugnato dal contribuente nei termini di legge perché il Fisco non può trincerarsi dietro al fatto che lo stesso sia scaduto.
Pertanto, in caso di mero rifiuto allo sgravio delle pretese da parte del Fisco, il contribuente può impugnare tale diniego. Nel caso in questione una serie di contribuenti, tutti coobbligati tra di loro al pagamento della medesima imposta, erano riusciti a far annullare le pretese dell’Amministrazione Finanziaria, tranne uno che nel caso di specie non era riuscito a impugnare per tempo l’accertamento fiscale. Alla successiva domanda, presentata all’Ufficio di poter ottenere il medesimo trattamento degli altri in autotutela, il Fisco non considerava tale richiesta. Proprio come successe a Maradona e ad Alemao e Careca.
Tale comportamento, quindi, secondo i giudici, risulta palesemente illegittimo, poiché, le Entrate, come tutta la Pubblica Amministrazione ” devono conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione”.
Ancora una volta, almeno da un punto di vista morale e della sostanziale correttezza, Maradona ne esca…..megl’e Platini.
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