Il Parma Calcio, da ormai circa quattro mesi, è alla ribalta delle cronache, non per la pochezza dei risultati sportivi, che drammaticamente la vede ultima in classifica, ma è, purtroppo, sotto i riflettori, per la crisi societaria.
La recente cronaca ha evidenziato sia le vicende legate all’alternanza dell’assetto proprietario, sia le vicende legate alle difficoltà finanziarie, concernenti soprattutto il mancato pagamento degli stipendi dei calciatori di “Parma Football Club Spa”.
Non a caso, il 13.02.2015, la COVISOC ha deferito i legali rappresentanti della società “per non aver documentato agli Organi Federali competenti l’avvenuto pagamento degli emolumenti dovuti ai propri tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo per le mensilità di luglio, agosto e settembre 2014, nei termini stabili dalla normativa federale.
Tutto questo, ad oggi, sembra ancora non trovare una soluzione, sebbene la nuova proprietà, la terza in quattro mesi, abbia pubblicamente dichiarato che nei primi giorni di questa settimana avrebbe saldato le pendenze con i giocatori.
Questa, che ormai può apparire come una telenovela dai contorni surreali, è resa possibile, in Italia, dalla mancanza di norme.
Come vi sentireste se la vostra squadra del cuore venisse acquistata da un imprenditore inaffidabile, che la conducesse al fallimento?
Sarebbe uno smacco difficile da digerire, perché qui non si tratta di un rigore sbagliato o di una prestazione sottotono, ma di debiti accumulati e non pagati, irregolarità di bilancio e conseguenti sanzioni, come la retrocessione d’ufficio o, nei casi più gravi, la cancellazione dal panorama sportivo professionistico.
Tutte queste disavventure, che noi a Napoli, abbiamo vissuto sulla nostra pelle, sono dietro l’angolo anche per un imprenditore accorto e in buona fede, figuriamoci per quelle figure che non possiedono queste caratteristiche essenziali.
Facendo riferimento al caso Parma, una società dal glorioso recente passato, i cui risultati della gestione attuale sono disastrosi, se si fossero seguiti gli esempi della Premier League, il disastro, forse, si sarebbe potuto evitare.
In Inghilterra, infatti, gli imprenditori che desiderano avvicinarsi al mondo del calcio, devono superare una sorta di prova di affidabilità, chiamata Directors’ Test, in base alla quale non potranno acquistare un club se:
a) hanno potere o influenza su un’altra società di calcio;
b) detengono una partecipazione significativa in un altro club;
c) la legge vieta loro di acquistare un club se hanno dichiarato fallimento;
d) sono stati presidenti o proprietari di un altro club, mentre hanno subito due o più eventi di insolvenza;
e) sono stati amministratori di due o più squadre che, mentre ne erano proprietari, hanno subito un evento di insolvenza.
Le precauzioni non sono solo queste. Infatti, la Premier League chiede ai suoi membri di rendere pubblici i nomi di tutti coloro che possiedono il 10 % di una società di calcio, per il principio della trasparenza. E’ il caso di precisare, tuttavia, che la regola non si applica ai club delle serie inferiori.
D’altro canto, se è vero che tutte le leggi del mondo potrebbero non bastare ad arginare i disegni criminosi dei furfanti del pallone (lo stesso Directors’ Test non è esente da critiche dagli stessi inglesi, che lo ritengono troppo teorico e poco adatto alle peculiarità dei casi concreti), sarebbe opportuno prendere in considerazione l’utilizzo di misure preventive in materia di compravendita di società di calcio.
In questo senso, a livello federale, si sta ipotizzando una modifica, ai regolamenti, sul modello della Premier League, come sottolineato recentemente dal Presidente Beretta.
Il bene da tutelare qui, non è solo la regolarità delle transazioni commerciali, ma, soprattutto, la passione dei tifosi, sempre più spesso vittime innocenti di questo mondo ormai, quasi alla deriva.
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