Marcello De Luca Tamajo, avvocato giuslavorista, esperto di diritto sportivo e di diritto del lavoro, in passato consulente per Figc e CONI, ai microfoni del “Corriere dello Sport” ha parlato dei possibili risvolti dell’emergenza coronavirus sul calcio.
Questi alcuni passaggi dell’intervista che è possibile leggere in versione integrale sul quotidiano sportivo romano oggi i edicola.
“In caso di mancata prestazione non c’è controprestazione. Ci troviamo di fronte a un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione.
Ci aiuta un articolo del codice, il 1256: se l’impossibilità è temporanea, il debitore della prestazione (il calciatore) non è responsabile dell’inadempimento. Però, a sua volta, la società non è tenuta a retribuire. Il calciatore non offre la prestazione, la società non offre la controprestazione, ossia il pagamento.
Certamente si tratta di una situazione del tutto inedita e mai verificata, di una materia oggetto di ulteriore studio anche in base ai provvedimenti di queste ore del governo e delle autorità sportive. In fondo non è mai capitato a nessuno di chiudersi in casa per colpa di un virus. È tutto molto fluido, difficile e nuovo. Potrebbe pure succedere che un calciatore non prenda lo stipendio in relazione al solo periodo per il quale non effettua alcuna prestazione.
Nel caso che il Coronavirus vada avanti per un anno. Il calciatore sta a casa e il datore di lavoro paga per un anno? Non è possibile. In questa situazione è legittimo che il lavoratore non vada a lavorare, infatti non è passibile di alcun tipo di provvedimento, ma sarebbe legittimo anche che il datore di lavoro applichi una riduzione della retribuzione.
Le società potrebbero convocare i calciatori per gli allenamenti? Teoricamente sì, siccome esiste per tutti
la possibilità di recarsi sul posto di lavoro. Ma bisognerebbe garantire loro tutta una serie di misure come le mascherine, la bonificazione degli spogliatoi, la distanza di un metro, i controlli all’ingresso per misurare la temperatura. Impossibile nel mondo del calcio, anche per una questione insita al gioco stesso. È un gioco di contatti, come fanno gli atleti a tenere le distanze? Attenzione perché si andrebbe a violare l’articolo 2087 del codice civile che prevede la tutela dell’integrità fisica del lavoratore.
Cosa consiglierei alle società? Probabilmente di mettere in ferie i dipendenti. Possono farlo. Esiste un protocollo d’intesa tra Governo e sindacati del 14 marzo che prevede l’applicazione degli ammortizzatori sociali, quindi
una cassa integrazione, o laddove non fossero possibili tali ammortizzatori il datore può concedere le ferie al lavoratore. Anche se ai calciatori non piacerà. Nell’accordo collettivo è previsto un periodo di ferie di 4 settimane ogni anno e che sia la società a decidere il godimento di tale periodo secondo le esigenze dell’attività agonistica
La cassa integrazione in un rapporto di lavoro sportivo con retribuzioni così alte non credo sia applicabile”.