De Laurentiis e Lotito, due presidenti con tanti punti in comune. Il ritratto di Alessandro Barbano del Corriere dello Sport.
“Una volta sono venuti alle mani e ci volle il tempismo di Adriano Galliani per impedire che la cena dei presidenti di Lega finisse in ospedale.
Chi li conosce giura che si detestino ancora, ma solo perché ciascuno sa che “il migliore” è un superlativo assoluto, e non si può essere il migliore in due.
Vuol dire che Aurelio De Laurentiis e Claudio Lotito sotto sotto si stimano.
E sanno di assomigliarsi quando, come è accaduto in questa lunga vigilia di campionato, sbucciano le parole fino all’osso della verità. Che fa male.
Fa male a Insigne sentirsi chiedere che cosa voglia fare da grande. Fa male a Inzaghi l’appello a non isolarsi e a essere più umile.
Ma è proprio quello che vogliono i due presidenti: usare il male per tirar fuori il bene, falciare gli alibi con cui atleti e allenatori si proteggono dalla paura di non farcela per aiutarli a ritrovare il coraggio. Le provocazioni crude sono gli unici arnesi culturali che DeLa e Lotito conoscono e praticano più o meno allo stesso modo, tanto da apparire copie superstiti di un dopoguerra italiano transitato nel nuovo millennio. Forse non saranno i migliori, perché l’aggettivo non si addice a un calcio che non brilla ancora come dovrebbe né per qualità, né per efficienza, né per trasparenza. Ma certamente sono i meno peggio, perché i più autentici e i più vivaci protagonisti di questa stagione. La loro avventura nel calcio inizia insieme: il 19 luglio del 2004 Claudio Lotito si prende la Lazio. Il 6 settembre dello stesso anno Aurelio De Laurentiis fa suo il Napoli.
Entrambi ricostruiscono da cima a fondo due club che erano a pezzi. Entrambi sfidano i ricatti degli ultrà criminali, anche a costo di girare con la scorta, mentre altri stringevano con questi ambigui accordi.
Scovano entrambi scovano nel mercato talenti nascosti a prezzi stracciati e ne fanno campioni. Entrambi vantano bilanci in ordine, al tempo in cui tutti s’indebitano oltre il dovuto.
Entrambi provano tanto gusto a stare mani e piedi dentro il calcio da raddoppiare, comprando anche Bari e Salernitana.
Entrambi si blindano di una corte di fedelissimi a cui non risparmiano le più istintive sfuriate, salvo poi difenderli a spada tratta e farne nel tempo compagni di avventura e di vita. Sarà un caso che Napoli e Lazio sono le uniche due società capaci di minacciare negli ultimi sette anni l’egemonia della Juve e di contenderle qualche titolo?
Il pragmatismo artigiano di Aurelio e Claudio tradisce una certa comicità, ma è il mascheramento di una sensibilità più raffi nata di quanto appaia a prima vista. Che nel momento più difficile della storia del Napoli fa dire al primo parole introvabili nella bocca di un Agnelli o di un Marotta: “Ancelotti è nel mio cuore e nel mio cervello, l’ho scelto per un percorso lungo, può stare qua anche dieci anni”.
Oppure, e qui parla Lotito con la franchezza di chi sa che non tutti i panni si lavano in casa: “È finita la stagione dei diritti, questa è quella dei doveri: ho una Ferrari, voglio la Champions e la squadra renda per quanto guadagna”. Certo, il nemico del coraggio è l’azzardo. E i due presidenti talvolta varcano il confine del buon gusto e sconfinano nel qualunquismo o, peggio , nel pregiudizio.
Come quando De Laurentiis si rallegra perché “i giornali non li legge più nessuno”. O come quando Lotito dice che “i buu li fanno anche a chi ha la pelle normale, cioè bianca”. Ma sarebbe ingeneroso definirli populisti o razzisti, perché la loro strategia è più aperta e più composita di quanto talvolta non dicano le parole. Sono entrambi tanto sofisticati da dissimulare a se stessi la loro complessità, finendo talvolta per confondersi. Ma guai a sottovalutarli.
La storia personale li fa simili oltre le loro stesse intenzioni e il destino del campionato li allea: se oggi il Napoli batte il Verona e la Lazio l’Atalanta, il Napoli si riprende il suo terzo posto e la Lazio si rimette in gioco per tutto. Che sia vero o no il detestarsi, stasera Aurelio e Claudio hanno un motivo per sentirsi vicini vicini in questa rincorsa impari tra le ambizioni e i risultati, e per condividere quanto comune e dolceamara sia la vita di due presidenti-padroni che sfidano un calcio più grande di loro. Ma non ancora imbattibile”.