Nell’edizione odierna de ‘Il Corriere dello Sport’ ha parlato lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni.
Che in Grecia, dove lo scrittore napoletano si trova per questioni di lavori, potrebbero anche assumere spoglie divine.
«Cioè?».
Le spiego, facciamo finta che la partita si giocherà sull’Olimpo e non al Maradona: a chi associa i due signori allenatori?
«Marte e Apollo. Marte, che per i greci sarebbe Ares, è il dio della guerra e lo paragono a Spalletti perché punta di più alla vittoria. Sarri, invece, ad Apollo: la bellezza pura».
Nostalgia del Sarrismo?
«No, non è questo. Anzi…».
Anzi?
«Il Napoli di oggi ha oscurato tutti gli altri Napoli, compreso quello di Sarri: per il livello del calcio espresso è una squadra quasi perfetta. È difficile non esaltarsi e anche solo accostarlo ad altri della storia».
È nato il Lucianesimo?
«(ride) Sì. Il fatto è che Spalletti è il simbolo di questa era, di questa squadra, tanto quanto Sarri lo è stato della sua. Di quel gruppo che nel 2018 ha quasi vinto lo scudetto».
Gioia e dolore. Però questa volta sembra una marcia trionfale. «È colpa di Sarri, tra virgolette, se non festeggiamo ancora e attendiamo l’aritmetica: il gol di Koulibaly a Torino con la Juve creò la più cocente delle illusionidelusioni».
Fa ancora male, eh?
«Dopo quella notte magica pensammo di avercela fatta e invece è rimasto il Napoli della Grande Bellezza che non è riuscito a vincere».
Più bello stilisticamente il Napoli di Sarri o quello di Spalletti?
«Quello di Maurizio era di una bellezza straordinaria. Era un’orchestra. Quello attuale, invece, verticalizza di più ed è molto più concreto e finalizzato alla vittoria. Al gol. E poi ha contenuti tecnici maggiori e profondità di rosa: 15- 18 giocatori contro i 12- 13 dell’epoca».
In un solo concetto?
«Quello attuale è l’evoluzione e la maturazione dell’altro. Ma senza quello di Sarri, questo sa- rebbe esistito: Spalletti ha portato avanti meravigliosamente il Napoli di allora».
Ma i giocatori sono cambiati e tante storie sono state scritte. Anche da altri allenatori.
«Sì, ma sono rimasti il tessuto e la mentalità creati dalla società. Il grande merito di De Laurenti- is è questo: aver costruito il Progetto sulla mentalità vincente».
Mixiamo il Napoli di Spalletti che vola verso lo scudetto e quello di Sarri che lo ha sfiorato nella stagione 2017-2018. «Facilissimo: quelli di oggi sono quasi tutti superiori. Ne confermo dieci e cambio soltanto Zielinski con Hamsik».
In panchina chi mette: quale toscano sceglie?
«Spalletti: ha un incredibile senso della gestione degli uomini. Straordinario. E non sottovaluterei i 5 cambi: rappresentano una rivoluzione decisiva».
A proposito di Marek, ha tagliato la cresta: è davvero la fine di un’epoca.
«Sì, ma resta il simbolo di quella squadra».
Chi è il simbolo di oggi?
«Di Lorenzo: giocatore di estremo valore ma comunque operaio».
Ancora confronti: Osimhem o Mertens?
«Scelgo Osimhen. Dries è stato un meraviglioso calciatore ma non un centravanti, secondo me, a dispetto dei tantissimi gol che lo hanno portato al record».
Kvaratskhelia o Insigne?
«Due giocatori diversi. Quando Kvara avrà segnato la storia del club sarà bellissimo riconoscerglielo, ma voglio ricordare che Lorenzo è il secondo cannoniere di sempre del Napoli e insieme con Callejon ha creato una giocata unica in Italia».
Kim o Koulibaly?
«Kalidou era più bello da vedere, ma la concretezza di Kim è assoluta. Mai vista: non lo cambio con Koulibaly né con qualunque altro difensore».
Quanto manca alla festa scudetto secondo i suoi
calcoli?
«Vedo singhiozzare paurosamente le inseguitrici, il Napoli ha demoralizzato tutti. Ma ripeto: non voglio parlare finché non mi autorizza la matematica».
Avrebbe voluto più vincere quello scudetto con Sarri, considerando la delusione che racconta, o le va bene così? Nel senso, quest’anno…
«Mi sta benissimo. Mi basta vincere, è una cosa meravigliosa. La conquista di quello scudetto divenne anche un fatto socioculturale: al Sarrismo, sbagliando, avevamo dato una connotazione politica e sociale. La rivoluzione e l’azzeramento di un potere consolidato. E oggi scopriamo che quel potere si basava su molte opacità inimmaginabili ai quei tempi».
Può nascere un ciclo?
«Certo. Il calcio è cambiato e il Napoli lo ha dimostrato: se anche dovesse andare via Osimhen, i tifosi hanno capito che con le idee si possono costruire grandi squadre».
Dove può arrivare la Lazio?
«Mi auguro in Champions: sono meridionalista e sono affezionato a Sarri. È un mio amico».
E Spalletti?
«Non lo conosco».
È il futuro, diceva, dando un titolo alla partita di domani.
«Il futuro contro il passato. Il modo di cancellare i fantasmi: non il Napoli di Sarri, sia chiaro,soltantoquell’epilogo. L’unico modo per riuscire nell’impresa e dimenticare è uno scudetto. E io lo sento vicino, vicino, vicino».