Davide Guzzardi, partecipante al corso organizzato da 100x100Napoli, ha analizzato il percorso di crescita intrapreso dalla federazione spagnola negli ultimi anni.
Una Milano spagnola avremmo pensato di poterla vedere solo uscire dalla penna di un ficcante Alessandro Manzonie, invece, il 28 maggio sarà realtà: Real Madrid-Atletico Madrid, finale di Champions League e rivincita di due anni fa in scena al Giuseppe Meazza. Ed il fatto che la seconda finale tutta spagnola negli ultimi tre anni (terza nella storia della Champions) del più grande torneo per club al mondo si giochi nel teatro di San Siro non è che una beffa crudele al nostro sistema-calcio come nemmeno Oscar Wilde l’avrebbe pensata, la vendetta di Don Rodrigo che si solleva dal letto di morte per sbeffeggiare il suo milanese creatore. Si, perché con le due squadre di Madrid a giocarsi la coppa “dalle grandi orecchie” la Spagna raggiunge proprio l’Italia come nazione che ha portato più squadre in finale, con la numero 16 e la numero 17. Uno smacco da parte di quello che è ormai in modo indiscusso il miglior sistema calcistico del mondo, una botta che si sente da lontano, anche oltre le alpi, a Basilea, dove il Siviglia si appresta ad affrontare il Liverpool nella sua terza finale di Europa League consecutiva, traguardo mai raggiunto da nessuno nella storia della competizione e che fa della squadra di Emery la 15° finalista spagnola, altro record eguagliato a, indovinate quale paese? L’egemonia spagnola è una realtà con cui il mondo del calcio fa ormai i conti da tempo: la nazionale è stata campione del mondo nel 2010 ed è bicampione d’Europa in carica; la Liga è prima, per distacco, nel ranking dei maggiori campionati europei; in Europa squadre spagnole hanno vinto quattro delle ultime sette edizioni della Champions League e 10 delle ultime 19 (compresa questa, la terza consecutiva) hanno visto almeno una squadra iberica in finale, nove volte vincitrice; in Europa League i successi sono invece quattro nelle ultime sei e addirittura nove finali su 16 con sette vittorie in attesa di sapere il risultato del 18 maggio. Ma i numeri non bastano, anzi, rendono sterile un discorso complesso che ha radici lontane sia nel tempo che nello spazio, quel 1999 in cui Xavi e Casillas guidano l’Under 20 spagnola alla vittoria del mondiale in Nigeria (aprendo il cerchio che si chiuderà, ma nemmeno tanto, 11 anni dopo un po più a sud). Da lì è partito un progetto basato sullo sviluppo della “cantera” che ha con il tempo coinvolto le principali squadre spagnole, in particolare il Barcellona che insegna il suo “tiki-taka” a tutti i giovani che entrano ne “La Masia” (struttura di formazione e residenza dei ragazzi del vivaio) e che vengono allevati nel vero senso della parola come futuri giocatori del Barça, seguendo dettami nati da Crujiff e istituzionalizzati da Guardiola. Altro discorso poi è la presenza delle squadre “B”, militanti nella Segunda Division B, terza serie, in cui i giovani possono già fare vere esperienze agonistiche ed allenarsi ad una mentalità vincente che rende indolore e, anzi, metodico il passaggio in prima squadra, già inquadrati nel sistema tattico e nella filosofia di gioco. Ed è forse proprio quest’ultima una definitiva chiave di lettura per il successo europeo delle squadre spanole: ognuna di loro ha una sua precisa identità, quasi sempre votata all’attacco, che difende, incentiva ed esporta in ogni stadio. Il tiki-taka del Barcellona, l’agonismo dell’Atletico, la spavalderia del Real, l’organizzazione dell’Athletic Bilbao, la bellezza del Siviglia, ogni squadra gioca il suo calcio e cerca di imporlo sull’avversario, costringendolo ad adattarsi e, il più delle volte, a subirlo. Insomma, tra numeri, antropologia culturale e tatticismo, perché la Spagna è padrona del calcio mondiale? Pare che in ogni caso il modo migliore di dirlo sia quello semplicemente disarmante di Jorge Valdano: “Perché hanno messo il pallone al centro di tutto”.
Corso di giornalismo sportivo: Spagna regina di Coppe, un dominio che parte da lontano
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