Davide Guzzardi, partecipante al corso diretto da Paolo Del Genio, ha analizzato l’aspetto caratteriale e non solodel tecnico partenopeo.
Chiamatelo come vi pare, “Mister 33”; “l’ex impiegato”; “mangiapreti”.
Anche di paragoni ne sono stati fatti tanti, il nuovo Sacchi, il nuovo questo, quell’altro, tutti abbastanza inutili, perché Maurizio Sarri nel suo genere è forse non unico, ma sicuramente raro. Forse l’unico allenatore a cui lo si può accostare, parlando di merce rara, è uno dei suoi riferimenti, Zdenek Zeman, non solo per la totale assenza di calcio giocato (se non a livello dilettantistico per l’allenatore del Napoli) prima di sedersi in panchina, ma anche per l’amore nei confronti della “dama bionda” delle sigarette.
Per il resto, poco a che spartire con tanti, ma tanti dei suoi colleghi attualmente in Serie A. Come si spiega? Partendo dalle origini probabilmente: nato a Bagnoli da genitori Toscani, decide di allenare e basta quando si rende conto che preferisce essere pagato per qualcosa che avrebbe fatto gratis, dopo il lavoro, piuttosto che continuare a girare l’Europa occupandosi di finanza interbancaria, aspettando trepidante le 17 per staccare e andare sui campi di pallone.
Ma il lavoro in banca gli resta dentro, assieme a tutte le lezioni che ha imparato come l’importanza di una ferrea organizzazione, della capacità decisionale e, su tutte probabilmente, quella che lavorare nel calcio è un lusso, non uno stress, perché “faticoso è alzarsi alle 6 per andare in fabbrica”, non prendere parte al gioco più bello del mondo.
Cultura del lavoro, organizzazione, meritocrazia, cura del particolare e tanta, tanta, tanta tattica, questi i fattori che hanno portato mister Sarri dalla panchina dello Stia a quella del Napoli campione d’Inverno, questo ed una sincerità che lo contraddistingue da sempre. Cosa che l’ha portato a confessare quelli che sono degli ipocriti tabù, come la difficoltà di imprimere una propria filosofia o di creare senso d’appartenenza in una squadra con troppi stranieri; la paura nel far giocare e sbagliare i giovani che sta uccidendo i nostri vivai; la constatazione che ci sono tanti allenatori nelle categorie “minori” che farebbero le scarpe a tanti della Serie A se gli si desse più esposizione mediatica; la cultura del tutto e subito che blocca in partenza qualsiasi progetto.
Ancora convinti che si possano fare paragoni? Ancora dubbi sul perché il Napoli di quest’anno abbia fatto qualcosa che non si vedeva da 28 anni? Sarri non è arrivato dov’è per caso, 13 anni di gavetta prima del suo primo campionato professionistico, poi altri 12 prima di Napoli, anni in cui s’è levato soddisfazioni come portare il Sansovino dall’Eccellenza alla C2 o sostituire Antonio Conte sulla panchina dell’Arezzo, fino all’Empoli e al Napoli, ma in cui ha anche subito esoneri e chiacchiere di malelingue. Cadere e rialzarsi, sempre, è quello che fa da una vita, tutto senza dimenticare la leggerezza, l’estraniazione dalle polemiche, l’applicazione e la cultura del lavoro.
Un personaggio, un uomo, fuori dagli schemi, lui che ne conosce tanti.