L’allenatore del Verona, Gabriele Cioffi, ha rilasciato alcune dichiarazioni in conferenza stampa.
“Ringrazio il presidente Setti e il direttore Marroccu, mi sono sentito fortemente voluto. Mi hanno permesso di portare uno staff che mi permetterà di fare un buon lavoro. L’obiettivo è la salvezza. Ho scelto Verona perché è una piazza vera. La sfida vera per me è cercare di eguagliare tutto quanto di buono fatto nelle gestioni Juric e Tudor. Sono stato fortemente voluto e ad aggiungersi a questo è la sfida. Ci sarà continuità perché in fondo ciò che ha fatto Tudor è dare continuità al lavoro di Juric, ma con le sue idee. La stessa cosa che farò io. Verona insegna che ha un DNA latente, che è stato tirato fuori da Juric, da Bagnoli, da Mandorlini, da Prandelli. E’ una piazza che è morbosa con la squadra, che vuole vederla lavorare. Quando ci ho giocato da avversario con il Mantova mi sono sentito soffocare in campo, si entra in un’arena”.
Sarà un Verona fisico?
“Sì, lo è sempre stato. Essere fisici non avere soltanto avere calciatori da 1,90 metri, ma vuol dire essere intensi. Io voglio una squadra che si sporca, che entra in campo e vende cara la pelle. Le squadre amate e seguite dai tifosi sono quelle che dimostrano di tenerci, non a chiacchiere o a proclami, ma a fatti”.
Quanto inciderà questa sosta per il Mondiale?
“Inciderà quanto noi le permetteremo di incidere. Abbiamo avuto tutto il tempo di programmare. Credo che incidirà più per le grandi che avranno 10-12 nazionali a testa. Per noi invece si tratta di gestire il pre-campionato e di correggere il tiro nella sosta per il Mondiale. Sarà un campionato atipico, cerchiamo di renderlo atipico in maniera positiva”.
Sarà un gioco spettacolare? Manterrà la stessa fisionomia dell’ultimo Verona?
“Sì, ma in maniera diversa. Creeremo delle linee di aggressione da cui andremo uomo a uomo. Personalmente l’uomo a uomo a tutto campo non mi appartiene da subito, ma è la conseguenza di una zona d’aggressione. Quanto spettacolare sia il gioco non posso garantirlo. A me piace un calcio propositivo. Si va avanti, ma con equilibrio. Io non sono una persona da all-in. Si va a fare all-in in maniera calcolata”.
Sono arrivati nuovi calciatori grossi (Piccoli, Djuric, ndr).
“Il mercato ha portato a fare determinati acquisti. Essere grande e grosso non vuol dire essere fisici, altrimenti si va a giocare a rugby. Quelli che sono arrivati compensano ciò che mancava prima, ossia una punta di peso che dia respiro alla squadra. Le caratteristiche della squadra resteranno le stesse: lettura dello spazio e attacco dello spazio”.
Si è speso per la permanenza di qualcuno dei big?
“L’avrei voluto fare, ma se l’avessi fatto non mi sarei reputato una persona intelligente. Nel calcio di oggi si parla tanto di sostenibilità, ma la sostenibilità va eseguita. Certe società, Verona inclusa, non pagano gli stipendi se non vendono. Di conseguenza si vende chi fa bene. Però la storia del Verona, del presidente Setti, del direttore Marroccu dimostra che per chi esce c’è qualcuno che entra. Caprari è in Nazionale, Ilic lo vuole mezzo mondo. Noi non dobbiamo avere alibi. In campo entrano i calciatori, ma i calciatori vanno indirizzati dalla gestione societaria e tecnica. Se andranno via arriverà qualcun altro che farà altrettanto bene e magari meglio”.
Su Cancellieri.
“Mi piaceva molto, ha grande fisicità e sa attaccare lo spazio. Ha espresso poco. Il mercato ha portato a questa scelta, verrà un Cancellieri 2, non so come si chiamerà ma farà altrettanto bene”.
Come sono stati i primi giorni con Setti?
“E’ carico, ha voglia di fare. Carpi e Mantova sono zone che sento mie, per me sono ricche di bellissimi ricordi. Il presidente vuole quello che voglio io, ossia vincere le partite. E’ quello che cercheremo di fare con grande passione, sacrificio e intelligenza”.
Come gestirebbe l’abbondanza in attacco?
“E’ giusto che ci sia grande competizione. Poi se davanti saranno in due e non in tre ci sarà da correre di più”.
Porterebbe a Verona qualcuno della sua Udinese?
“Sì, perché mi metterebbe in una comfort zone. E no, perché i valori che trovo qui sono altrettanto importanti”.
Come ha ritrovato Setti?
“Un presidente che resta in A così tanto è un presidente con la ‘P’ maiuscola. Io e lui siamo gli stessi di qualche anno fa”.
Il direttore Marroccu ha speso parole importante per lei.
“Ora siamo nel periodo dell’innamoramento, potremmo fare qualsiasi cosa e andremmo bene. Io e lui ci troveremo sempre, ma il calcio è semplice: vinci le partite? Sei bravo. Non le vinci? Vai a casa”.
Come si gestiscono le tante partite prima della sosta?
“L’intelligenza non è solo tecnico-tattica, ma sta anche nella gestione del momento. I carichi a cui siamo abituati come staff magari verranno ridotti in percentuale tale da affrontare la prima partita, abbastanza frizzantina, nel migliore dei modi”.
Quant’è importante avere il reparto dei portieri già definito? Quanto guarderai alla Primavera per pescare qualche giovane?
“Tutto si racchiude nella sostenibilità di un club. Il Verona porta in prima squadra giocatori dalla Primavera e li fa diventare plusvalenze importanti. Ci sono giocatori di prospettiva: Coppola, Terracciano, Amione che rientra. I portieri non sono l’unica certezza, ce ne sono di altre. Finché i calciatori non vengono venduti si sta a Verona per giocare e salvarsi”.
E’ stata formativa per lei l’esperienza all’estero?
“Quello che sono ora io come persona e allenatore è il frutto del percorso e sarà così anche tra dieci anni. Non so se un allenatore debba formarsi all’estero. Io all’inizio sono stato costretto, perché il telefono non squillava e io non sono un passivo. Ho preso la valigia e sono andato. Per me è stato formativo, ti approcci in maniera diversa ai problemi. Il percorso è stata una delle chiavi che ha permesso a me e allo staff di fare bene a Udine, dove ci sono calciatori stranieri, culture diverse”.
Ha usato molto il termine sfida.
“Se non c’è la sfida, lo sport perde di pathos. Ho detto ai ragazzi che quello che hanno fatto non basta, ci vuole di più, con grande umiltà. Una sfida è mantenere un matrimonio per trent’anni, una sfida è avere due figli, è tutto una sfida. La sfida è in tutto e in tutti i lavori. Io so che sto per affrontare una salita bella ripida, dobbiamo tenere la testa bassa e camminare”.
Quant’è importante suo fratello che è nel suo staff?
“L’ho portato qui perché è una persona preparata. Parenti, fratelli e amici non c’è spazio se non si hanno competenze. Abbiamo 18 mesi di differenza, siamo in simbiosi fuori dal campo, in campo invece abbiamo responsabilità ben precise. Posso dire in serenità che la società è fortunata perché ha uno staff di animali da lavoro”.
Questa per lei è anche una sfida con l’Udinese?
“No, la sfida è contro me stesso. E’ sempre stata contro come stesso. Non avevo compiuto ancora 23 anni e mi ero rotto tre crociati, sono arrivato a 30 anni in Serie A, questa è una sfida. La sfida è dire a tua mamma che non ci andavi a lavorare perché avresti vissuto col calcio. E ce l’ho fatta, almeno per il momento (ride, ndr). E’ tutto una sfida”.