L’amore. Quello per la maglia azzurra, quell’azzurro che non è un semplice colore ma lo specchio di un sentimento, di un legame viscerale, di uno spirito di appartenenza forte più di ogni altra cosa.
Questo tipo di amore spinse nell’agosto del 2000 Paolo Cannavaro a lasciare la Serie A e raggiungere Napoli, la sua città, la città della squadra del suo cuore. Sette lunghi anni vissuti con la maglia azzurra incollata addosso, da titolare inamovibile. Una conquista sudata, rincorsa, affatto semplice. Un successo messo in discussione più volte sia dall’inizio stentato di Paolo sul campo che da un’eredità pesante, pesantissima, quella consegnatagli dal suo cognome. Ma Paolo Cannavaro pian pianino ha superato brillantemente gli ostacoli fino a diventate titolare inamovibile e, senza dubbio, non solo uno dei difensori più affidabili della rosa del Calcio Napoli dal punto di vista tecnico, ma leader dello spogliatoio, figura carismatica di rilievo delle viscere del San Paolo. Dall’estate scorsa e il conseguente arrivo di Rafa Benitez sulla panchina del Napoli, tutto è cambiato. E sappiamo in quale direzione. Scelta tecnica? forse. Anche se le dinamiche dell’accantonamento lasciano pensare a tutt’altro. Mai titolare se non in casi di estrema necessità, una rigidità, una fermezza, un’estremizzazione, un eccesso che col trascorrere del tempo ha assunto sempre più le sembianze di un principio, di un intento. Da parte di chi? Per quale motivo? La palla la lasciamo rimbalzare tra le mani del patron Aurelio De Laurentiis. Che il work in progress preventivato per il Calcio Napoli prevedesse l’asportazione dei giocatori cardine della vecchia guardia? Ai posteri l’ardua sentenza.